Come se nulla fosse stato

Il giorno in cui la Storia decise di riavvolgersi in questo racconto di Massimo Tivoli, secondo classificato nella 124° Edizione di Minuti Contati con Elisa Emiliani come guest star.

 
Le braccia tirano, una fitta flagella i lombi. In equilibrio su una gamba, Ettore prova a suonare il campanello col ginocchio dell’altra, e si chiede perché non abbia poggiato la spesa a terra. «Maledetto stress.»
Chiara apre la porta. «Da’ qua. Ti do una mano.» La voce è senza speranza. Sua moglie lo libera dal fardello e va in cucina.
Giulia e Sara si rincorrono intorno al tavolo. Le urla si intrufolano nelle orecchie per poi esplodere nel cervello. Ettore non ce la fa, non stasera, e gli vomita addosso la sua emicrania. «E fate un po’ di silenzio!»
Le piccole si bloccano, lo scrutano. È lo sguardo interdetto dell’inconsapevolezza. Quindi riprendono da dove avevano interrotto, come se nulla fosse stato.
Con apprensione, Ettore lancia un’occhiata sul divano. Bocca aperta, occhi chiusi, e un rantolo cadenzato. Solo un anno fa suo padre russava, adesso neanche quello. Se non fosse per la nuca reclinata sullo schienale, il vecchio sarebbe già finito col culo per terra. La testa sembra aggrapparsi al divano con la stessa tenacia con cui lui si aggrappa alla vita.
«Pa’, ma chi te lo fa fare?» mormora Ettore. Quindi urla verso la cucina: «Mozzarelle e affettati, che voglio sprofondarmi nel letto al più presto!»
Buio.
«Ma che è saltata la luce?» chiede Chiara.
«Papà, papà!» urlano all’unisono le piccole.
Ettore accende la torcia del cellulare. Le bimbe corrono ad avvinghiarsi alle sue gambe.
«Tranquille, adesso scendo. Sarà sicuramente scattato il salvavita.»
 
Ettore ritrova Chiara sulla porta, con la torcia del suo cellulare accesa. «Be’?» gli domanda. Lo guarda senza speranza.
Le bimbe stanno avvinghiate a lei. Il nonno è sempre lì, che dorme.
«Un blackout» risponde Ettore. «Pure i lampioni sono spenti. I palazzi stanno al buio.»
«Telefona a Sergio. Fatti dire com’è la situazione a L’Aquila.»
«In centro sarà okay. ’Ste cose succedono solo in periferia.»
Ettore avvia la chiamata.
«Ettore, che dici?»
«Se’, ma voi ce l’avete la luce?»
«Ma che pure voi?»
Un brusio metallico gli dà una staffilata sul timpano. Scosta il cellulare e si accorge che è morto. Il palmo si scalda. Scotta. Brucia. Ettore apre la mano e il cellulare cade a terra in fiamme. Se non altro, il piccolo falò illuminerà per un po’ la sala.
«Ahi!» urla Chiara. Ai suoi piedi un altro piccolo falò.
Ettore apre la finestra. Il cielo è sereno. La luna piena brilla di una luce diversa, antica. L’aria pizzica sulle guance, è fresca, è pulita. L’edera buca l’asfalto, si arrampica lungo i palazzi. Tutto è così veloce, troppo veloce. La gente si è riversata sulle strade. Alcuni camminano con la schiena piegata in avanti, altri a quattro zampe, altri si spogliano mostrando un manto bagnato dalla luna il cui luccichio risveglia paure ataviche.
Il brontolio allo stomaco gli ricorda che non ha cenato. È il morso della fame di chi non sa se mangerà di nuovo. Si volta: Giulia e Sara saltellano frenetiche, sembrano due scimmiette. L’usta di Chiara gli provoca un’erezione, il suo manto ne è impregnato. Ma ha troppa fame e, a giudicare da come Chiara pilucca la blatta che tiene tra le dita, anche lei ce l’ha.
La famiglia si gira verso il nonno, all’unisono. Il vecchio è sempre lì che dorme, è rimasto quello di sempre. La carne che si ostina a rimanergli aggrappata è poca e stantia, ma per la cena può bastare.
Come se nulla fosse stato.