
Demoni in tempo di guerra in questo racconto di Fabio Aloisio scritto sul tema “Il sangue e la redenzione”, settimo classificato nella 127° Edizione del contest principale di Minuti Contati con Franco Forte e Guido Anselmi come guest star.
Quando la strapparono dall’umidità della cella e la portarono a ceffoni fino alla stanza del commissario fu come scalare l’inferno per ripiombare in un altro.
La schiaffarono su una sedia.
Il dottor Collotti sfogliava dei documenti e non sembrava interessato che di fronte ci fosse un sacco tumefatto di carne così logoro da non potersi più definire donna.
L’uomo si grattò la fronte e lesse: «Katia Veselj, arrestata a Trieste nel marzo del ‘44 con volantini della resistenza. E come tante altre, si è dimenticata chi glieli ha forniti…»
Per risposta Katia scorse lo sguardo prima sul balconcino aperto che dava sulla corte interna e poi sulla scrivania del Collotti dove, tra tutti i cimeli, capeggiava una lettera vergata dal Duce.
«Le è tornata la memoria?» Quando lei rimase zitta, sospirò, e le indicò il bicchiere che le stava di fronte: «Vuole bere?»
Katia svuotò il bicchiere in un sorso; il liquido le scorse nella gola arida come un rivolo di lava bollente. S’inumidì le labbra, la bevanda aveva un retrogusto amaro di erbe.
«Allora di te faremo altro… sei incinta, giusto?» proseguì Collotti, alzandosi e inchiodandola alla sedia con quegli occhi sporgenti e vacui.
Katia trasalì. Si era resa conto di avere vita dentro di sé: dopo quella notte con Pietro, quattro mesi prima, non aveva più avuto il ciclo. Ma lui come fa a saperlo? Cercò di alzarsi, ma sentì la mente ubriaca, come se galleggiasse nella nebbia. Franò sul pavimento.
Solo allora una donna sbucò da una porta laterale: era la moglie di Collotti. Di quella stralunata dai capelli rossi aveva sentito solo dicerie e il suo nomignolo: strìa.
«Tutto pronto?» s’informò l’ispettore.
«Manca solo lei» replicò la rossa. «Portala di là.»
Il Collotti la denudò e la trascinò con sé.
A Katia sembrava di vivere un sogno: un alone di incenso ammantava la stanza al cui centro c’era una tavola agghindata da una tovaglia merlata e candele rosse accese.
Collotti la stese lì sopra.
La stria si spogliò e le si adagiò a fianco, rivelando un ventre gonfio e madido di sudore, come se un immenso bubbone stesse per riversare il contenuto sul pavimento. Quando Katia si sentì stringere la mano, si voltò verso la donna che le ricambiò uno sguardo feroce e affamato.
Vide Collotti prendere un pugnale e sentì inciderglielo prima sul suo ventre e poi su quello della moglie. L’uomo impiastricciò le dita nel miscuglio di sangue e gliele passò sul seno e sul sesso di ciascuna.
Katia si stremì quando sentì la stria cantilenare in slavo: «Tre vite per sfamarti, tre vite per farti venire al mondo.»
Qualcosa gorgogliò dall’ombelico della stria, che si mise ad ansimare come se stesse per avere un orgasmo. Gli occhi di Collotti ebbero una scintilla d’amore, le labbra stirate in un sorriso da padre.
Un neonato malforme, lordo di sangue, emerse dalla pancia della rossa e strisciò su quella di Katia.
Lei non riuscì neanche a urlare quando il feto, tenuto al guinzaglio dal cordone ombelicale, s’insinuò nella ferita che le era stata inferta. Lo sentì scavare, mentre faceva breccia tra muscoli e tessuti, lo sentì stritolare e divorare il frutto del suo ventre.
Katia pianse, la lucidità le ripiombò addosso in tutto il suo orrore.
«Ne mancano solo due» sentì esultare la stria, che si rivolse al marito: «Prendimi delle garze.»
Il commissario obbedì.
Katia ebbe un sussultò quando sentì il piccolo mostro riemergere dalle carni.
Non glielo avrebbe permesso, almeno avrebbe almeno impedito che altre due vite si spezzassero in quell’orrendo rituale. Trattenne dentro di sé quell’abominio e si alzò di scatto, lacerando il cordone attaccato alla stria.
Scartò Collotti e corse, sbattendo sul mobilio, nell’altra stanza. La luce e l’aria fresca che entrava dal balconcino le indicarono la via.
Volò per tre piani prima di sfracellarsi.
Negli ultimi spasmi di morte, seppe che non se ne era andata da sola.
Sopra sentiva le urla isteriche di un’altra madre che aveva perso il figlio.