Al

Giulio lo sente respirare.
Sa che è impossibile, ma da quando quell’Essere è entrato in casa sua, si è ficcato come un chiodo nella sua mente.
Respira. E cresce.
E’ arrivato solo da pochi giorni ed è già quasi raddoppiato.
Non sa ancora quanto diventerà grande.
«Quanto diventa grande?», gli chiede come leggendogli nel pensiero il fratello Gino.
I fratelli si guardano negli occhi, due paia di fessure azzurre tra le fitte rughe dei visi arati dalle lunghe ore di lavoro in mezzo ai campi.
Si sono sempre parlati poco e capiti molto, uniti dal legame familiare, cui ora si aggiunge quel segreto. Cosa si sarebbe detto in paese?
 
Giulio tira fuori solo un verso gutturale accompagnato da un cenno della mano.
Gino sa che significa che sta pensando. E’ lui quello che pensa, d’altra parte.
«Ascoltami Gino, non devi dirlo a nessuno, capito? E’ una roba di famiglia.»
 
La mamma se lo era portato nella tomba quel segreto, rivelato solo dall’uomo in grigio, l’Alfieri, che avevano sentito solo nominare in paese e che si erano trovati inatteso davanti alla porta di casa una fredda sera di settembre, con poche spiegazioni e quella presenza che ora incombeva nelle loro vite.
 
Piccola e apparentemente insignificante, Giulio l’aveva sistemata nel pensile principale della cucina, lasciandola all’interno dello stesso contenitore in cui era arrivata, ma da cui ora premeva per uscire. Incontenibile, un corpo determinato ad espandersi.
 
No, non potranno tenerla nascosta per sempre, non se vogliono farla proliferare. Se vogliono portare avanti quell’eredità, che è in fondo un lascito della madre.
Come ogni parassita avrà bisogno della loro attenzione completa. Si espanderà e diffonderà.
 
Costituiranno un rapporto simbiotico di cui vivranno tutti e tre, come tutte le cose che in campagna funzionano.
 
Entrerà a far parte della loro famiglia per sempre, li cambierà.
Sopravvivrà a loro, che a loro volta la lasceranno ai loro figli.
 
In paese li considerano persone semplici e seri lavoratori.
Ma se – anzi quando – scopriranno il loro segreto?
C’è chi li chiamerà bastardi certamente.
Ma non sono più ragazzi e potranno sopportarlo.
Risponderanno pan per focaccia.
Difendendo sia il nome della madre che, se necessario, quello del fornaio.
 
I due fratelli si guardano, si sono sempre parlati poco e capiti molto, uniti dal legame familiare, cui ora si aggiunge quel nuovo componente.
 
Il Gino sorride: «Lo voglio chiamare Al in onore di Al Bano il cantante preferito della mamma, ho sempre sognato un fratello minore!».
«L’Alfieri l’ha chiamato lievito madre, forse dobbiamo parlare di sorella maggiore, chiamiamola solo Al».