
I gradini sono undici, devo toccare solo quelli pari o sono guai. La scala si fa scendere con un bastone a uncino, di solito ci metto un sacco per agganciare l’anello, ci arrivo appena, stavolta al secondo colpo l’ho preso.
Due quattro sei, otto dieci e salto, e la soffitta eccola qui.
Qui è dove vengo quando sono felice o quando ho paura, e mi nascondo. La soffitta non fa mai paura perché ci andava a giocare Tobia coi suoi amici, io li seguivo di nascosto e li ascoltavo, troll e goblin, coboldi ed elfi. Non so nemmeno come è fatto un goblin, ma tutto quello che c’è in soffitta non può far paura, perché qui è tutto per finta; e le cose finte poi a volte diventano vere.
Giro l’angolo e apro gli scatoloni dei giochi vecchi, tiro fuori un risiko e prendo il dado. Se esce sei devo scendere subito, altrimenti resto qui.
Quattro.
Mi metto ancora a cercare, la polvere ha coperto le scatole sopra ma quelle sotto no. Le tolgo tutte, disegno un cerchio col dito sulla scatola di Hotel, ci tiro dentro il dado, se resta nel cerchio tutto si sistema.
Cade a terra e rimbalza sotto alla caldaia. La caldaia è come una grotta con un falò blu, ci spingo sotto lo scatolone e mi ci ficco dentro. Sul fondo ci sono sparsi i vecchi dadi di Tobia, non li ha mai portati con sé, mi ha detto che a Londra non ha più il tempo di giocarci, e che potevo tenerli io. Ma anche io non ci ho giocato più da quando è andato lui.
Tiro quello grosso, se esce pari papà arriva ora, se esce dispari resto quassù. Lo prendo e lo alzo alla luce della fiamma, per controllarlo.
Sedici.
Ne prendo due e li lancio insieme, mi sbattono in mano come i denti di un gigante. Allungo le orecchie, mi è sembrato di sentire qualcosa dabbasso. Trattengo il respiro, se esce dodici la mamma si sveglia.
Quindici.
Dalla finestrella vedo il giardino, nulla si muove. Butto ancora i dadi, se esce più di quindici passa un gatto.
Diciotto, resto fermo immobile ma il gatto non passa. Forse dopo.
Mi sporgo dallo scatolone, afferro un mazzetto. Se viene l’asso vado giù e sveglio mamma.
Tre di coppe.
Se esce spade scendo giù e mi metto a cucinare io, prima che arrivi papà, così mamma quando si sveglia trova già tutto pronto ed è contenta, che ormai non cucina quasi più e deve fare tutto papà.
Re di denari.
Fa freddo ormai qui in soffitta, è buio ed è tardi. Non so che ore sono ma dovrei essere a letto anche io. Se viene coppe, o denari, o spade papà chiama da lavoro per sentire come va, e io rispondo.
Cinque di coppe, sto fermo immobile ma il telefono non squilla.
Se esce più di dieci torno a letto, meno di dieci sveglio mamma.
Otto.
Non mi muovo, tiro ancora.
Sei.
Non mi muovo, tiro ancora.
Tredici.
La paura arriva anche qui, su in soffitta. Tiro ancora, se esce dieci papà arriva.
Sette.
Se esce dieci papà ritorna.
Quattro.
Se esce dieci papà torna a casa e sveglia la mamma.
Cinque, dodici, undici.
Ma papà non arriva, mi sento tremare. La mamma non si sveglia, ci ho già provato e non è servito. Ha solo preso troppe delle sue gocce, se esce cinque si sveglia lo stesso.
Se esce venti non si sveglia mai più.
Tiro.