
«Brutto stronzo!»
L’aveva sussurrato fra sé e sé, quando l’aveva vista camminare sorridente con i cartoni delle pizze in mano, diretta verso casa.
Non sapeva chi fosse il destinatario del suo insulto: Dio, il destino, la sorte, il diavolo fottuto dai suoi cento demoni froci!
Lei era stupenda e guardarla in quel momento gli faceva male.
Aveva il solito sorriso: quel capolavoro disegnato da un artista innamorato, strafatto di endorfine.
Illuminava la notte con il suo sguardo di zucchero, nonostante la merda in cui l’avevano tuffata solo poche ore prima.
Maligno. Due centimetri. Chemioterapia.
Fino allora avevano trascorso una vita sulla corda, in equilibrio su un monociclo striminzito: precisi con le tasse da pagare, al limite con il mutuo della casa, di poco sotto il massimo dello scoperto in banca, senza abbastanza denari per comprare le tende o per rifare il bagno.
Erano rimasti in piedi sulla fune, con le gambe che tremavano, quando all’altro capo era comparso quel pagliaccio che si era messo ad agitare il filo sghignazzando al grido di: Maligno. Due centimetri. Chemioterapia.
«Brutto stronzo!»
L’aveva urlato uscendo da casa, dopo esser rimasto lì a sorridere, mentre le teneva la testa ormai calva, per aiutarla a vomitare.
Aveva pulito, l’aveva messa a letto, si erano fatti un sacco di coccole e avevano riso assieme.
Aveva visto i suoi occhi luminosi anche con le serrande abbassate. Aveva indugiato sul suo sorriso, intagliato dal più romantico degli elfi del bosco.
Poi era uscito con una scusa, aveva corso fino alla cima della collina e aveva gridato la sua rabbia.
L’aveva gridata al cielo, alle stelle ormai spente, alla luna che si nascondeva dietro a nuvole grigie.
«Brutto stronzo!»
L’aveva pensato in silenzio. Mentre la guardava sorridere ai suoi due figli, poco prima che iniziasse la preparazione per l’intervento.
Si era accorto che, nonostante tutta quella merda, nei suoi occhi non era entrato nemmeno un velo di tristezza. L’aveva vista sorridere, come aveva fatto mille altri milioni di volte, sia prima che dopo che il clown vigliacco si fosse divertito ad agitare la corda.
Lei aveva rassicurato tutti, come sempre, come se di lì a poco sotto i ferri ci fosse dovuta finire qualcun altra.
Lui aveva dedicato il suo disprezzo al karma, alla Kundalini del cazzo, all’Avatar Babaij, a tutto il pantheon delle divinità che l’uomo avesse mai pensato di fabulare da quando aveva iniziato a intagliare chopper nella pietra.
«Brutto stronzo!»
L’aveva stretto tra i denti, quando erano andati a dirgli che c’erano state delle complicazioni, che per altre due ore non si sarebbe saputo niente.
Aveva cercato di non farsi sentire, non avrebbe mai voluto dei nemici là dentro.
L’aveva detto al pagliaccio in fondo alla corda, a quel fottuto bastardo che non voleva lasciarli in pace, al lurido fecaloma che si divertiva a centellinare ogni sorso della loro sofferenza.
Poi l’aveva guardato dritto negli occhi e aveva capito: «Mi fai solo ridere… Tu non puoi farci niente! Per quanto sforzi tu possa fare, brutto stronzo, ci sono corde che non si spezzano!»