
Per amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita.
Avrei tanto voluto pronunciarle davvero quelle parole. Sarebbe stato un bel matrimonio. Ma lui non c’era quel giorno e non c’ero neanche io.
Tossisce di nuovo, stavolta più forte.
Respira piano già da un po’ ormai. Mi chino per pulirgli la bocca e il fazzoletto è ancora sporco di sangue.
Dei passi dietro di me. Scarpe da ginnastica.
La mia bambina si preoccupa della sua vecchia mamma. Teme che il mio cuore non regga tutta questa emozione. E se anche non reggesse? Ci siamo ritrovati quarant’anni fa e ci siamo promessi di non commettere mai più l’errore di vivere separati.
E se questo è l’ultimo giro d’orologio, allora il mio posto non è certo sulla sedia a dondolo a fare il punto croce.
«Mamma, vai di là per favore, ci sto io con lui».
La mia piccina è dolce ma non capisce. Non sa niente dell’amore che lotta e si attacca anche alle lamette da barba pur di vivere ogni emozione fino alla fine.
Non ne sa proprio niente.
Mi giro e la trovo in piedi con la spalla attaccata allo stipite e con quella tuta blu che le ha regalato Alfredo l’anno scorso per Natale.
«Marta, amore mio, io devo stare con lui, fino a che non si sveglia e non mi saluta. Ci salutiamo sempre prima di chiudere gli occhi, sai? Ormai sono quasi quarant’anni che lo facciamo». Chiudo gli occhi e li strizzo fino a che una fitta non mi costringe a riaprirli. «A domani, amore mio. Questo ci diciamo da una vita. Anche quando non potevamo stare insieme».
Marta mi guarda ancora con quello sguardo pieno di compassione che non voglio. Voglio che capisca, non che mi prenda per una povera scema.
Ho lottato così tanto per ottenere una piccola porzione di vita con l’amore della mia vita che adesso nessuno, neanche mia figlia, può impedirmi di stare qui, con lui, con le mani sporche del suo sangue, ad assistere all’ultimo istante della sua vita. Il nostro ultimo minuto insieme.
Io non mi muovo di qui.
Il cellulare suona. “Dio come ti amo”, la nostra canzone. Ha voluto che la mettessi come suoneria e così ogni mattina mi sveglio così. Questa però è la sveglia che mi ricorda le pillole. Le sue medicine.
Non riesco a trattenere le lacrime; tra poco la testa comincerà a girare e Marta mi porterà su quella maledetta sedia a dondolo che non avrà più senso se sulla poltrona accanto non ci sarà il mio amore.
Mi chino ancora su di lui per sentire il suo respiro. È debole e l’odore è sempre più acuto. Siamo davvero alla fine? Abbiamo aspettato che il nostro amore uscisse alla luce del sole per arrivare comunque a una separazione? Zitta, devo stare zitta e non farmi sentire o Marta penserà davvero che sono pazza e io non voglio parlare di nuovo con quel dottore che sorrideva come se si trovasse difronte a una bambina.
Deficiente di dottore.
Io sto solo male perché non voglio lasciarlo e non posso andare a letto se non mi saluta.
Nessuno mi capisce.
Nessuno sa che cosa vuol dire amare una persona fino a desiderare di baciarla anche se la sua bocca sta per esalare l’ultimo respiro e regala solo odore di morte.
Marta ama il suo paracadutista scolpito nel marmo e fa bene. Ma l’amore vero è il “fino alla fine”, quello che aspetteresti fino a perdere il senno.
E forse io l’ho perso, perché non me ne andrò mai a dormire senza quella frase.
Sì, dicono che l’abbia perso.
«Mamma, ti prego, ascoltami. Vieni di là».
Mi volto di scatto. Adesso le strappo i capelli se non la smette.
«MI HAI ROTTO LE PALLE! IO NON MI MUOVO DI QUI!».
Marta mi guarda spalancando gli occhi. Finalmente ha capito e ha paura.
Non parla più, fa finta di piangere, si gira e se ne va.
Lasciatemi con lui, voglio che il mio Alfredo stringa la mia mano quando andrà via.
Le sue dita si muovono. Si sveglia! No, sono ferme e si staccano dalle mie.
No, ti prego Dio no, non adesso, ti prego!
Alfredo fa un respiro lungo. Dio mio, no.
Ne fa un altro, stavolta lunghissimo. Poi si ferma, a bocca aperta.
Ci siamo.
Sento dei passi, poi qualcuno mi abbraccia. Il prete?
«Ginetta, questo me lo ha dato Alfredo, quando lei era via».
Un biglietto, la sua scrittura.
A domani, amore mio.
Mi gira la testa. Qualcuno mi porta in salotto.
No, non voglio tornare in clinica. Voglio dormire come lui, con lui.
Ancora la sveglia, le medicine.
A domani, amore mio.