
Mi porto le mani sulla testa, la pelliccia che ricopre le orecchie da gatto è tutta in disordine. Prendo la spazzola con le setole fini e vado davanti allo specchio. Anche i capelli non scherzano, mi ricadono caotici sulle spalle come fossero una cascata nera.
Prendo un lungo respiro. In questa scuola le cose andranno diversamente, queste orecchie non saranno un problema. Siamo alle superiori ormai, siamo adulti.
Mamma entra in stanza e mi pianta una mano sulla testa.
«Ahia! Che fai mamma?»
Tiene il rotolo di nastro adesivo tra i denti.
«Stai ferma, Mia.» Biascica. «Non vorrai andare a scuola con questi due cosi che ti spuntano dai capelli, no?»
Mi appiattisce un orecchio, lo fissa alla nuca con l’adesivo e ci sposta sopra i capelli. La pelliccia dell’orecchio viene tirata, fa male.
«Uno.»
La sua voce mi arriva ovattata.
«Mamma, mi fa male.»
«Pazienta. Vuoi che i tuoi compagni ti prendano in giro come nell’altra scuola?»
Tiro giù l’orecchio e abbasso lo sguardo. No che non voglio, ma la mamma ha ragione: finirà sempre allo stesso modo.
«Brava Mia.»
Mamma preme l’orecchio in basso e ci piazza sopra il nastro adesivo. Fa male come se mi stessero tirando ogni singolo pelo. Passerà, Mia. Il dolore passerà. Ti abituerai.
«Adesso li acconciamo, così non ci farà caso nessuno.»
La professoressa guarda il registro e dice qualcosa, mi arrivano solo sillabe confuse. Qualcuno dall’altra parte dell’aula alza la mano, anche la sua voce arriva confusa. La mamma ha messo troppo nastro adesivo, non sento quasi niente. Come farò a seguire la lezione? Muovo un poco un orecchio e l’adesivo mi tira i peli, è come se venissi punta da mille spilli. Si stacca un pochino, la voce si fa più chiara.
«Sullivan Karen.»
La ragazza accanto a me alza la mano. Tiene i capelli castani in una coda di cavallo.
«Presente!»
Sta facendo l’appello.
«Taylor Mia.»
Alzo la mano.
«Presente.»
Karen si gira verso di me e mi tende la mano.
«Piacere, Karen.»
È la prima volta che mi guardano negli occhi invece che in testa. Il cuore mi martella nella cassa toracica come un ossesso. Stai calma, Mia, comportati da umana.
Le stringo la mano senza troppa forza. La sua pelle è morbida, sembra di toccare un cuscino. I suoi occhi di smeraldo mi sorridono.
«Da che scuola vieni?»
La prof si gira verso di noi.
«Silenzio, voi due!»
Karen incassa la testa nelle spalle con aria colpevole, ma mi sorride di sottecchi. Sembra simpatica.
La campanella suona il liberi tutti. Finalmente, dopo cinque ore le orecchie mi vanno a fuoco. Voglio andare a casa e togliermi questi cosi, domani troverò un altro modo. Potrei tagliarmi i capelli e mettermi sopra una parrucca del mio colore, sarebbe più facile. Avrebbe potuto pensarci la mamma invece di farmele nascondere così.
«Ehi Mia, ti va di fare un salto al bar qui accanto?»
Karen inclina la testa, i capelli le scivolano dietro le spalle. Vorrei tanto poter accettare, ma non resisto più.
«Mi spiace, oggi non posso. Domani?»
«Che hai da fare?»
Muovo per sbaglio le orecchie, una fitta di dolore mi attraversa tutta la testa come se mi avessero tirato una stilettata. Karen mi fissa la nuca. Oh no.
«Cos’è quello?»
Mi porto una mano alla testa. L’orecchio si è liberato. No. No, no, no.
Un altro ragazzo si gira verso di noi. Me ne sto con la mano sulla testa come un’ebete, cosa faccio ora?
«Ehi Mia, ma tu sei…»
«Scusa, devo andare!»
Afferro la cartella e corro fuori dall’aula.
Raggiungo la porta dell’aula. Ieri Karen non ha visto nulla e se anche avesse visto qualcosa posso convincerla del contrario. Mi controllo la parrucca nuova, è tutta in ordine. I capelli sembrano i miei, è perfetta. Mi è costata tre mesi di paghetta, ma ne è valsa la pena.
Entro in classe. Karen è seduta al suo posto. In testa le spuntano delle orecchie da gatto rosa. Si gira verso di me e mi saluta.
«Ehi Mia.»
La raggiungo, le orecchie sono attaccate a una passata nascosta dai capelli.
«Ma… che ti sei messa in testa?»
Scrolla le spalle.
«Mi piaci, come amica intendo. E ho pensato che non dovevi per forza essere tu a cambiare, per essere amiche.»
Mi salgono le lacrime. È la prima volta che incontro qualcuno come lei.
Una risatina mi sfugge dalle labbra.
«Che c’è?»
«Questa parrucca mi è costata un occhio della testa.»
Ride. «Allora tienila su.»