Tocca ferro

Tre colpi vigorosi batterono contro la porta. «Aprite, in nome di Lord Dale!»
Flann poggiò il martello sul tavolo da lavoro, afferrò con le pinze il blocco di metallo che brillava di arancio e lo mise tra le braci. Si passò l’avambraccio sulla fronte, tergendosi il sudore.
«Aprite! Non lo ripeteremo!»
Flann si recò alla porta e la aprì, lasciando che il vento autunnale rinfrescasse la fucina. Il manipolo di uomini in maglia di ferro era capeggiato da un sergente giovane, con folti baffi biondi e l’espressione severa.
Il fabbro abbassò il capo. «Cosa posso fare per voi?»
«Sono ser Iustus, emissario di Lord Dale. Questa notte Lybeth, sua figlia, è stata rapita. Abbiamo ricevuto l’ordine di perquisire ogni villaggio della contea.»
Flann si scostò, permettendo l’accesso ai soldati. «Entrate. Non ho niente da nascondere.»
Ser Iustus fece un cenno ai suoi uomini. Entrarono e ficcarono il naso in ogni angolo della modesta fucina e della stanza attigua. Scostarono tende, mobili, aprirono armadi e controllarono sotto il letto.
Il fabbro li seguì con lo sguardo per qualche momento, poi si rivolse al sergente. «Avete detto che è stata rapita. Come potete esserne certi? C’è stata una lotta?»
Iustus sbuffò. «No, niente di tutto questo. Lady Lybeth ha una gamba malformata, è zoppa dalla nascita. Non può certo essersi allontanata da sola.»
«Qui siamo tutti brava gente, ser. Non penso ci sia nessuno nel villaggio che possa aver commesso una malefatta simile.» Flann scosse la testa. «A meno che non siano stati loro.»
«Loro? Di chi parlate?»
«Degli abitanti del bosco. Gli spiriti della natura.»
Iustus strinse i denti, i suoi occhi si incattivirono. «Ancora con questa storia dei folletti? È da quando siamo giunti da questo lato del bosco che sentiamo queste storielle da bambini!»
«Non sono storie» disse Flann, serio. «Abitano i boschi, e quando si invaghiscono di una donzella la rapiscono per portarla nella loro terra. Temono solo Dio e il tocco del ferro, che si dice che li scacci. Ma qui ne ho a sufficienza per proteggermi.» Il fabbro rise.
Ser Iustus fischiò per richiamare i suoi. «Trovato niente?»
«Tutto a posto, signore.»
Flann si avvicinò a un tavolo su cui si trovavano una dozzina di ferri di cavallo, ne prese uno e lo porse al sergente. «Ecco, tenete. Vi proteggerà.»
Ser Iustus sbuffò, ma lo prese. Fece cenno ai suoi di uscire e guardò il blocco di ferro tra le braci. «A cosa state lavorando?»
«Il gambale di un’armatura. Se doveste avere problemi con le vostre, non esitate a portarmele. Ve le riparerò a un prezzo di favore.»
Il soldato annuì e si diresse alla porta. «State in guardia. E doveste vederla…» si ricongiunse ai suoi senza finire la frase.
Flann chiuse la porta.
Lybeth uscì dall’angolo buio. «Come hanno fatto a non notarmi? Avevo uno di loro a una spanna dal viso.»
Flann le sorrise. «Te l’ho detto, sei sotto l’effetto della mia magia. Se non vuoi che qualcuno ti veda, non ti vedrà.»
La ragazza zoppicò fino al letto, dove si sedette. Flann rimirò i suoi capelli del colore del grano. Prese le tenaglie, estrasse il blocco di ferro dalle braci e si rimise al lavoro.
Lybeth lo guardò di sottecchi. «Quindi la storia che il ferro vi scaccia è una menzogna.»
«No, è vero.» Flann battè il martello sul ferro.
«Allora, come…»
«Se un uomo viene morso da serpente velenoso, muore. Ma se beve una goccia di veleno il primo giorno, due il secondo, tre il terzo, e così via… prima o poi il veleno non gli farà più del male. Nessuno bada se un fabbro ha qualche bruciatura e vescica sulle mani, è un buon modo per passare inosservati.» Flann rimirò il proprio lavoro. «Mi ci vorrà ancora qualche giorno, ma avrai la tua gamba nuova, come se non avessi mai zoppicato.»
«Farà male?»
«No, grazie alla magia. Ma quando sarai guarita, non potrai tornare a casa. Dovrai farti una nuova vita da qualche altra parte. Penseranno che hai fatto un patto con il diavolo.»
«O con un folletto.»
Flann rise. «Non è la stessa cosa?»