Sottofondo

Una luce giallognola esce fioca dalla televisione e mi sporca appena il profilo mentre sono, come al solito, distesa sul divano.
Gambe incrociate, coperta fino alla punta del naso. Si sentono delle voci flebili e qualcuno che ride in cucina. L’atmosfera è quella di una dolce, confortevole e domestica serata in famiglia, tra scambi di battute e risate, i preparativi per la cena procedono con l’affettuoso scorrere del tempo tra gente che si ama.
Dalla tv, un rosso quasi accecante colora il plaid maculato. I colpi del bastone arrivano dritti nelle mie orecchie.
“Passami del sale, cara”, la voce del papà è così mielosa da essere stucchevole.
“Certo, tesoro, ma chiama tua figlia che è ora di mangiare, non può sempre stare davanti allo schermo”, come ogni madre deve rompere le palle alle povere creature che ha messo al mondo.
Mi stringo in me stessa sotto la coperta: speriamo non mi vedano.
“Va bene, dolcezza”, la cinge ai fianchi, “Ma prima vieni qua” e la bacia come si baciano solo nei film di Hollywood.
Io vado avanti imperterrita a fissare lo schermo. I due sembrano animali avvinghiati. Una specie di urlo strozzato in gola precede quello che è distintamente il rumore di qualcosa che si rompe in un urto. Tre colpi secchi, attutiti da una superficie morbida, e una botta più forte: ha picchiato la testa. La scena è agghiacciante, alzo ancora un po’ la coperta fino al limite inferiore degli occhi: mi sento più al sicuro.
 
In momenti come questo torno a essere piccola. Mi viene in mente quando, ancora bambina, guardavo i film dell’orrore e tenevo le mani davanti agli occhi per quasi tutto il tempo, divaricando qualche volta le dita per scoprire se stesse davvero accadendo quello che mi sembrava di avere intuito dai suoni e, puntualmente, le chiudevo con forza per la paura.
Stava accadendo. Accade sempre quello che senti accadere.
Non so bene perché, ma la coperta si è presto trasformata nella mia armatura, nel mio nascondiglio, nel mio riparo.
Da bambina ci costruivo anche delle casette, con Marco. Chiaramente decideva lui dove e come costruirle e si comportava come se io fossi la sua ospite – i fratelli maggiori sono delle merde quando vogliono – ma mi piaceva lo stesso.
Ora la coperta è la mia seconda pelle, non ci costruisco più niente e, anche se sono cresciuta, spero che mi protegga.
 
Nel frattempo, in cucina, le risate procedono fragorose. Il clima è frizzante, festoso. Le effusioni si sprecano e mi sento in imbarazzo. Quando la felicità è così esplicita mi mette a disagio. Non ho dimestichezza con certe emozioni. Marco una volta mi ha detto che non è colpa mia, che il mondo è crudele e la vita è una merda. Vorrei non credergli.
 
“Ti assicuro che è il miglior pollo che tu abbia mai mangiato” dice, tra un bacio e l’altro, la mamma.
“Meglio di quello di mia madre è impossibile!”, risponde il papà prima di tirarla a sé e scoccarle un altro bacio sulle labbra.
“Smettila che potrebbe arrivare tua figlia, sai che queste cose la mettono in imbarazzo!”, a quanto pare è così per tutti gli adolescenti, allora.
“Eh, dovrà farci l’abitudine… In fondo, con una madre così splendida capirà anche lei che è impossibile resistere!”.
Alzo il volume. Non li sopporto più.
 
“Ti ammazzo!”, tuona grave, rauco, titanico di rabbia. Afferra un posacenere e lo scaglia con forza sulla testa di suo figlio che si è di nuovo messo in mezzo.
Non capisco perché si ostini a farlo, è da coglioni.
“Non toccarlo!”, grida lei fuori di sè.
“La prossima volta impara a starsene fuori dalle palle mentre stiamo risolvendo le nostre cose”, l’urlo copre i singhiozzi della moglie.
“E ora, sistemiamo anche te”, la prende per i capelli.
 
Non è bastato, premo con forza sul telecomando. Le voci alla televisione si intensificano con rapidità. “Ti amo”, recita l’attrice seducente e dolce a volume 40, bella come si è belli solo nelle serie tv.
“Ti amo anche io, piccola”, risponde il marito, perfettamente pettinato.
“Avete finito di pomiciare, voi due?” sbotta la figlia adolescente appena entrata in scena. Non mi somiglia per niente. Si vede lontano un miglio che il suo personaggio non ha bisogno di una coperta per ripararsi da quello che le succede intorno.
Le risate registrate del pubblico scandiscono la fine del siparietto e riempiono la cucina ordinata e perfetta della sit-com.
Alzo ancora il volume.
 
La lite dei miei genitori continua, come sempre, in sottofondo.
Marco è riverso, al centro del salotto, con una rossa e grossa ferita sulla fronte. Urla a mio padre che è un maiale e che questa volta lo denuncia.
Lo intravedo, ma non mi giro a guardarlo.
Non voglio guardarlo.
Alzo ancora un poco la coperta e fisso il televisore: spero che questa volta basti per rendermi invisibile.