
L’aria della cripta era mista di muffa e polvere. Vittorio si concesse un respiro corto attraverso il fazzoletto che gli proteggeva naso e bocca. Quella notte sembrava infinita, ma avevano aperto l’ultima delle sepolture. Un altro cadavere putrefatto e tra i vermi tesori che i ricchi amavano inumare e loro invece portavano via per vivere. Che se ne facevano i morti?
Vittorio calpestò il coperchio con lo stemma dei conti, si sporse come stava facendo suo padre e guardò dentro la bara. Il fazzoletto gli scivolò sul mento. Nella bara c’era un ragazzo, poco più giovane di lui, capelli neri lucidi, la pelle bianca, luminosa e le labbra rosa, come la fanciulla di una fiaba. Aveva una camicia bianca, con un cravattino anch’esso bianco stretto intorno al collo sottile, giacca e pantaloni neri. I vestiti erano polverosi, stinti. La pelle no.
Suo padre sfilò il rosario in madreperla dalle dita intrecciate e se lo mise in tasca, estrasse il coltello e cominciò a tagliare i bottoni d’oro. «Vittò… spicciati. Le tasche, guarda nelle tasche»
Vittorio inspirò, strinse con le dita il bordo freddo della bara. «Pa… questa sepoltura di quanto è?»
Magari si erano sbagliati e quello non era il figlio del conte, morto per una brutta febbre, no, era qualcun altro che avevano seppellito quel giorno. Magari sì. Anche se erano tombaroli esperti, su queste cose non sbagliavano.
«Che domande fai. Due anni almeno.»
«Pa… guardalo! È come se l’avessero deposto stamattina.»
Suo padre grugnì e si lasciò sfuggire il coltello, un bottone rotolò sulla camicia bianca. Il padre frugò con le dita sotto la salma per recuperarlo e se lo mise in tasca. «Non guardare e fruga le tasche.»
Vittorio allungò una mano, sfiorò il tessuto dei vestiti, umido come la cripta, infilò le dita nella tasca dell’abito e le strinse intorno all’oggetto che cercavano. Era un orologio d’oro, il quadrante bianco segnato da quattro gemme.
Tirò fuori l’orologio con la catena. Sussultò come se dovesse vedere il ragazzo svegliarsi e reclamare l’orologio.
Il padre glielo strappò di mano. «Ecco, ci pagheranno molto bene per questo. Guarda che bello» E fece dondolare la catena come un pendolo poco sopra le dita che aveva profanato e ora stavano abbandonate sul ventre immobile.
Non un respiro, ma nemmeno odore di morte.
Vittorio afferrò quelle mani morte eppure intatte e le riunì fra loro. Un brivido lo attraversò, non erano calde ma nemmeno fredde, ed erano, morbide, lisce.
Le lacrime gli pizzicarono le palpebre. «Papà. Dobbiamo raccontarlo. Questo è un mira—»
Un colpo sulla bocca dato con le dita come una frusta bruciò via le sue parole. Gli occhi del padre erano stretti in due fessure.
«Non dirlo, non osare. Non ci servono i miracoli. Che ci facciamo? Ci danno da mangiare? Loro avranno un altro santicino e noi un giro di corda intorno al collo.» Agitò la mano con l’orologio. «Questo ci interessa invece, questo ci darà il cibo.»
L’orologio baluginava catturando la luce dell’unica torcia. Lampi brevissimi rimbalzarono sul volto scavato del padre. Guance incavate, un dente marcio, l’alito pesante. Invece nella bara il ragazzo morto era bello e intatto.
Vittorio inspirò e trattenne un singhiozzo. Aveva imparato a non avere paura della morte degli altri. ‘Finché non sei morto, non ti interessa.’ Ma era sicuro di essere vivo?
Il padre chiuse le dita intorno all’orologio, i riflessi sparirono. «Dobbiamo chiuderla.»
Vittorio scosse la testa. Erano già morti loro due, sempre nelle cripte, sempre di notte, tra l’umidità e i gas fetidi, le fiammelle e le lapidi dei cimiteri.
Sfiorò lo sparato della bella camicia. Dicevano che fosse entrato nel fiume d’inverno per salvare qualcuno, l’unico figlio del conte, che aveva tutto nella vita e l’aveva buttata via così.
Vittorio alzò le mani, arretrò. Il padre gli dava già le spalle chino sul grosso coperchio. Si aspettava il suo aiuto.
Lui infilò la porta della cripta. Fuori c’era il cugino Lucio che faceva il piantone e si sfregava le spalle per ripararsi dal freddo.
«Vit, che fai?»
«Papà ti vuole, per chiudere la cassa.» Disse in un sussurro e prese il viottolo tra le lapidi. La Luna era quasi svanita, le stelle erano poche. Vittorio si allontanò, l’aria gli riempì i polmoni. Allora corse, corse e raggiunse il cancello che avevano scavalcato, infine la strada e corse via lontano dal padre e dal santo.