La donna coi capelli di stelle

Amedeo aveva trentadue anni ed era quasi cieco. Aveva perso i denti, respirare gli bruciava i polmoni. Era così povero che per comprare l’ultimo libro aveva dovuto vendersi il fornello: Il Chimico Scettico, di Robert Boyle.
Lo lesse a fatica. Pianse e chiuse l’ultima pagina. Secondo Boyle la scienza sperimentale era l’unica via. L’oro non si poteva fabbricare, e l’alchimia era pazzia.
Marta. Chiamò nel buio. Marta. Dove sei?
La sognava, la rivedeva coi capelli che rilucevano come vetri incandescenti, capelli fatti di stelle.
Cercò la notte oltre la finestra, ma c’era solo la cortina luminosa che gli copriva gli occhi.
Sapeva che per rinascere si doveva morire, e ormai voleva solo addormentarsi e raggiungere Marta, la sua donna di stelle.
 
Amedeo aveva ventisei anni, quando leggeva Il Carro Trionfale dell’Antimonio.
Regoli stellati, questa era la via secondo il grande Basilio Valentino! Doveva mescolare l’antimonio col mercurio, cuocerlo sotto una fiamma viva e si sarebbero formate strutture simili a stelle: i regoli stellati, vetri incandescenti sottili come capelli. Polverizzandoli e mescolandoli con zolfo poteva ottenere la materia prima e iniziare la Grande Opera.
Pestò il minerale grezzo nel mortaio, doveva uccidere le sostanze prima di usarle, la morte era necessaria e dava la vita: per rinascere bisognava prima morire.
Si fermò nell’udire la voce che lo chiamava.
Amedeo, diceva, Amedeo, non ti importa nulla di me? Non vuoi neanche dirmi addio?
Stupida donna, se voleva andarsene allora che se ne andasse e basta!
Ma lei piangeva: Amedeo! Chiamava. Di’ qualcosa.
Le donne! Sanno solo piagnucolare.
Mescolò la polvere allo zolfo, mise tutto nel crogiolo e raccolse il flauto. Intonò la musica che aveva trovato nell’Atalanta Fugiens, le note tristi si univano ai singhiozzi di sua moglie.
Vattene e basta, Marta.
I passi si allontanarono.
Strinse le dita sul flauto, il cuore sobbalzò.
L’amava ancora. Voleva alzarsi e correrle appresso, ma i regoli stellati iniziavano a formarsi.
Fissò la fiamma, la luce si stampava nel profondo degli occhi, gialla come oro.
Il vapore che saliva dal crogiolo gli pizzicava i polmoni. Bruciava.
 
Amedeo aveva diciotto anni, quando Marta gli portò l’incensiere d’oro.
Lei se la rideva alla faccia dei preti: aveva rubato in chiesa per lui, per avere la dote per sposarlo. Gli consegnò l’oro. Amedeo lo accarezzò, sotto l’odore di spezie sentiva quello del metallo prezioso che pulsava di vita e gli parlava. Venderlo fu facile, dei trenta ducati per il matrimonio, dieci li spese per il suo primo libro di alchimia.
A casa se ne restava in laboratorio, accarezzava le lettere sulla copertina: Aurora Consurgens, di san Tommaso d’Aquino. C’era l’immagine di una donna che cavalcava un leone. I suoi capelli di stelle rilucevano come vetri incandescenti.
Le stelle erano la chiave, ne era sicuro.
Marta gli accarezzava le spalle: amore vieni di sopra, vieni a scaldarmi il cuore.
Amadeo storceva la bocca: va’ pure, ti raggiungo dopo.