Il Senza Volto

Sbatto Silvia contro il muro della discoteca e le mordicchio il collo. Un misto di tabacco e vaniglia invade la lingua.
Chissà se si ricorda di me, lo scarto genetico del liceo. Non importa, dopo dieci anni e ventitré operazioni alla faccia finalmente è mia. Chissà se quei simp bluepillati diranno ancora che cambiarsi i connotati non ha senso perché conta il carattere.
Con la mano le abbasso le mutandine e le accarezzo le labbra.
Il suo respiro affannoso riempie la stanza, ma nelle orecchie rimbomba la risata con cui respinse il mio mazzo di rose rosse e mi umiliò, nel cortile della scuola. Lo sguardo disgustato di quegli occhi azzurri da Stacy mi sporca ancora, con quel silenzioso sei troppo brutto per considerarti della mia stessa specie.
La odio. Ritraggo il braccio e scappo verso l’uscita del locale.
Cosa scopo a fare con una non persona che mi vuole solo perché ho il bel faccino?
Il buttafuori spinge un incel alto quanto un bambino delle medie, con il mento retruso e gli occhi da pesce lesso. Poveraccio, così basso non arriverebbe al sette neanche impiantandosi la testa di un modello. Per fortuna io sono un metro e ottantadue. Vorrei consolarlo, dirgli condoglianze, ti voglio bene, anche se non potrai mai avere una vita.
«Perché scappi?!» La voce di Silvia mi rincorre, immutata dopo tutto questo tempo.
Perché sei una vaginomunita meschina. Perché come tutte non mi hai dato possibilità. Anzi, peggio di loro, perché mi hai riso in faccia di fronte agli amici. Perché sei nata bella e non sai cosa significa non esserlo, e se io avessi ancora quella faccia urleresti bravo, scappa, inutile virgin, fai un favore al mondo e ammazzati.
 
Svolto in un vicolo. Quella Stacy ha smesso di seguirmi, non voglio vederla mai più.
Supero tre sacchi della spazzatura accatastati e mi ritrovo di fronte una vetrina illuminata. I manichini indossano completi di diversi colori e fatture. Un negozio lussuoso in una strada malfamata? Qualche bulletto chad avrà capito che i poveri sono brutti e ha aperto il negozio per far pesare la loro inadeguatezza.
Un viso sconosciuto compare dentro la vetrina. Trasalisco.
No, è uno specchio. Ma quello chi è? Ha la mascella squadrata, l’iride verde coperta dalla palpebra inferiore e l’angolazione degli occhi perfetta, la struttura osseo facciale di un dio e nessuna asimmetria.
La natura lo ha benedetto, con un viso del genere farà innamorare tutte le Silvia del mondo. Ma che senso ha se sarà sempre e solo per la sua faccia? Vuole davvero essere un manichino?
No, quello non sono io.
Do un cazzotto al vetro. Si infrange. L’allarme è uno spillo che penetra i timpani.
Raccolgo un frammento e arrivo a un passo dallo specchio. Con la punta incido la guancia liscia. Pizzica, ma il dolore è ovattato, come se penetrasse appena attraverso una maschera. Trascino il vetro nella pelle. Il sangue cola e mi riscalda il collo.
Taglio fino a creare un cerchio intorno alla faccia. Prendo il lembo sopra la fronte e strappo.
Sorrido. Finalmente posso essere me stesso.