La Petite Mort

Qualcosa di caldo, morbido e cedevole mi avvolge. Mi spande dentro un tepore che ricordo di aver provato tempo fa, prima che mi chiudessero nella cella dalle pareti bianche e la luce che va e viene.
 
Il mondo si capovolge con uno scossone che mi fa sciaguattare. Mi trovo a testa in su; il freddo si dissipa insieme al letargo che m’intontiva.
 
È il mio turno? Ha scelto me?
 
Fuori dalla cella c’è una luce abbagliante, macchie di colore indistinte. L’aria è così torrida che inizio a sudare. Voci vicine e lontane, tintinnii e stridii mi attraversano e mi fanno vibrare.
 
O è l’eccitazione? In fin dei conti, è la mia prima volta… Ma sono pronta.
 
La cosa calda che mi stringe è una mano. È grande, mi avvolge tutta. Potrebbe stritolarmi, ma mi culla delicata. È questo l’amore?
 
Forse lo scoprirò oggi. Ha scelto me, niente più cella fredda. La trepidazione scatena le bollicine che mi formicolano dentro. Risalgono impazzite con un pizzicore irresistibile.
 
Sbatto contro una superficie dura, dondolo in qua e in là, ma rimango dritta. Finalmente è il mio turno. È il caldo che mi fa sudare, o è l’attesa? Come sarà, quando mi aprirà? Farà male? Nessuna delle mie sorelle ne aveva idea, né nella cella che ronzava né nel posto rumoroso in cui stavo prima.
 
Dita mi accarezzano lente, risalgono tutto il mio corpo, disegnano cerchi e mi cospargono del mio sudore umido. Fremo, mentre i polpastrelli raggiungono il mio viso e lo esplorano frettolosi. Perché all’improvviso ha così fretta?
 
Un dito trova la chiave per aprirmi, la tormenta, l’accarezza. Le bollicine sciamano, io sciabordo e gorgoglio. Qualcosa di duro mi s’infila sotto la lingua, la solleva con forza e mi costringe a dischiudermi. L’aria calda mi entra dentro con un sibilo sommesso e mi apro con uno schiocco. Non fa male, sono così eccitata che ribollo in una vampata di schiuma.
 
Le dita mi abbandonano la lingua, scendono lungo il corpo e mi si richiudono attorno. Il vuoto si apre sotto di me. Volo veloce in alto e mi inclino, spillo un paio di gocce eccitate che mi scivolano sul viso. Un alito ancor più caldo della stanza aleggia sulla mia fessura, riempie il poco spazio vuoto dentro di me e fa scoppiare altre bollicine. Non mi avevano detto fosse così bello.
 
Non lo sapevano, o volevano tenere per loro il segreto? Nessuna delle mie sorelle è mai tornata a raccontarlo.
 
Labbra roventi mi sfiorano, saccheggiano le mie pieghe dalle gocce sfuggite, premono prepotenti. La lingua umida trova la mia apertura e la mano che mi stringe mi inclina ancora di più. Mi riverso in una bocca calda, in un tripudio di bolle.
 
Torno verticale e mi riappoggio, leggera. Sono intontita e barcollo. Gli sono piaciuta anche così sudata o mi rimetterà nella cella fredda? Quanto prenderà di me? Mi terrà sempre con sé, per risucchiarmi con quella bocca rovente?
 
Vorrei fosse così. Morirei, ma sarebbe una piccola, bella morte.
 
La mano mi solleva ancora, gioca con la mia lingua, ma questa volta sono pronta. Mi inclino di slancio e l’essenza sgorga fuori da me, nella sua bocca, contro la sua lingua. A ogni assalto sono sempre più calda, sempre più vuota.
 
Mi riempirà, quando sarò finita? Vorrei continuasse per sempre, ma ormai sono così leggera che le voci mi rimbombano dentro.
Volo in alto, gesti secchi mi scuotono. Sembro vuota, ma nel profondo ho ancora un paio di gocce. Mi navigano dentro, anche se sono calda e ho smesso di sudare. Se mi agita ancora un po’, se ne accorgerà.
 
Fremo dalla voglia di inclinarmi ancora, ma non succede. Volo ancora, più a lungo.
 
Cosa succede?
 
La mano stringe forte e mi ammacca, si serra con violenza. Mi accartoccio, strido e mi lamento, ma mi riduce al ricordo di me stessa. Perché lo fa? Fino a un istante fa, mi stava baciando. È questo che è successo alle altre? Le ha svuotate e uccise come sta facendo con me?
 
La presa viene meno.
 
Roteo.
 
Cado.
 
Atterro con un tintinnio in un posto buio.
 
Metallo.
 
Ah, ecco dov’erano le mie sorelle…
 
E dire che avevo ancora un paio di gocce da dargli…