
Lanciai un’occhiata all’orologio. Mancavano cinque minuti alle nove. Infilai in bocca l’ultima polpetta rimasta nel piatto e mi alzai da tavola.
«Ci riprovi anche stasera?» Sbuffò la mamma.
Annuii, mandai giù un sorso d’acqua e afferrai una mela dal cestino a centro tavola.
«Cosa ci troverai poi a fissare il cielo per ore?»
Roteai gli occhi. «Non fisso il cielo…»
«Si, si, osservi le stelle. E se riesci a scoprirne una nuova le darai il tuo nome.» Prese il bicchiere e lo alzò verso il mio viso. «A stella Aria.»
«Grazie mamma. La tua fiducia nelle mie capacità mi commuove.»
«Tanto pioverà anche stasera.»
Mi avvicinai alla finestra, scostai la tenda e guardai fuori. La notte era illuminata dalle stelle. «Non c’è neanche una nuvola. Perché dovrebbe piovere?»
«Non c’erano neanche gli altri giorni, ma appena ti piazzi in terrazza e punti quel coso verso il cielo comincia a piovere. Non fraintendermi, sono contenta. La terra ha bisogno di acqua, ma… Niente stella Aria.»
«Vedrai, prima o poi riuscirò a fotografare quella stella. E allora dovrai ricrederti.» Le voltai le spalle e mi incamminai verso le scale.
«Lascia perdere, lo sai che il cielo non vuole che lo guardi.»
Mi bloccai con il piede sul primo scalino. La mano artigliò il legno del corrimano. Contai fino a dieci, poi ripresi a salire in silenzio. Se avesse piovuto per davvero avrei anche potuto strozzarla con le mie mani. Salii in terrazza e osservai il cielo. Ancora niente nuvole.
Accostai l’occhio alla lente e puntai il telescopio sulla cintura di Orione. Strinsi la vite di fissaggio, sistemai la messa a fuoco e montai il filtro polarizzatore. Avvicinai lo sgabello e ne regolai l’altezza. Bene, era tutto sistemato, non restava che attendere.
Guardai di nuovo l’orologio: 21:10. Mancava poco. La prima volta che avevo notato la singolarità era apparsa alle 21:15. Era stato un attimo. Un lampo era passato nello spazio fra Alnilam e Mintaka, lasciandosi dietro una specie di buco nero. Ero scesa di corsa a prendere la macchina fotografica, ma quando l’avevo montata sul telescopio, la singolarità era scomparsa.
21:13, il cielo era ancora limpido. Era fatta, anche se avesse iniziato a piovere, avrei avuto tutto il tempo di scattare qualche foto. Avvicinai l’occhio al telescopio, afferrai il telecomando della fotocamera e appoggiai il pollice sul pulsante di scatto.
Click. Il lampo attraversò lo spazio che divideva l’astro centrale della cintura di Orione da quello occidentale. Click. Il buco nero apparve. Click. Un altro lampo, click, e un altro, click, e un altro.
Smisi di scattare le foto e i lampi scomparvero e con essi il buco nero. Poco male, avevo le foto.
«Mamma, vieni a giocare?»
Staccai gli occhi dal monitor e sorrisi a Marco. «Si, amore. Finisco di guardare le foto che abbiamo scattato questa notte e arrivo.»
Guadò il monitor. «Sono gli uomini nella città di vetro?»
«Si piccolo mio. Vedi quella ragazza? Ci sta fotografando.»
Marco spalanca gli occhi, la sua bocca forma una grande o. «Fooorte!»