Cambio al vertice

Finalista nella 148° Edizione del contest principale dell’Arena di Minuti Contati, un racconto di Luca Fagiolo.

 
Supero l’ultimo gradino e mi infilo il dito nella maglietta. Ho il collo sudato. Non capisco perché il capo si ostini a rimanere quassù, fa un caldo fottuto. Davanti alla porta della camera Manuelito incrocia le braccia. «Corto, dove ti eri cacciato? Tiberio aspetta da un’ora.»
«Tiberio? Chi se ne fotte di quella mezza sega. Mi hanno detto che il capo mi cercava, è dentro?»
Stringo la maniglia, Manuelito appoggia la sua manona sulla mia. «Il capo è stato arrestato. Ora tira i fili Tiberio.»
«Quel poppante?»
Manuelito si piazza l’indice grosso come una salsiccia davanti alle labbra. «Sei pazzo? Se ti sente ti scanna.» Abbassa la voce. «Quello è matto da legare.»
«Cosa vuoi che faccia, senza suo padre non conta niente.»
Manuelito apre la bocca, lo interrompo con un’alzata di spalle e spalanco la porta.
Tiberio è seduto sulla poltrona del capo, con i piedi nudi appoggiati sul tavolo di quercia. Nel legno è conficcato il coltello a farfalla di suo padre, la lama sporca di sangue. Una delle due sedie di fronte a lui è ribaltata all’indietro, una macchia rossa lercia il tappeto.
Uno sconosciuto gli fa da ombra, le mani appoggiate sui fianchi, le ascelle della camicia pezzate. Una beretta spunta dalla cintura, strizzata contro il ventre gonfio.
«Corto! Temevo non volessi presentarti al mio cospetto.»
«Mi stavo divertendo un po’,» mi passo l’indice sotto al naso, «se capisci cosa intendo.»
«Passi il tempo a pippare la mia roba invece che venderla?»
«Beh, al capo non ha mai dato fastidio. Un piccolo extra…»
«Comando io adesso e non ho intenzione di tollerare certi comportamenti.»
Fa il giro della scrivania e si siede sul bordo. Mi indica la sedia davanti a sé.
«Vieni, accomodati. Parliamo da uomo a uomo.»
Le labbra mi si inarcano in un sorriso. Uomo a uomo? Ma se è solo un ragazzino.
«Lo trovi divertente?»
Si crede proprio un grande boss.
«Il capo ti ha fatto una domanda.» Il gorilla sposta la mano sull’impugnatura della beretta.
Tiberio lo rimette in riga con un’occhiata.
Bravo, tieni a bada il tuo mastino, prima che gli spacchi il naso.
Prendo una sigaretta dalla tasca dietro dei bermuda e la accendo. Affondo nella sedia. Incrocio le gambe, dondolo il piede. «Posso sapere perché mi hai chiamato qui?»
«Tu non mi piaci.» Va dritto al punto, il ragazzino.
Tiro una boccata di fumo. «Il sentimento è reciproco.»
Rambo sghignazza.
«C’è solo un piccolissimo problema. Io sono il tuo capo.» Si mordicchia un’unghia. «Fai parte della famiglia da tanti anni, Corto. I miei uomini ti vedono come un modello a cui ispirarsi. “Se lo fa Corto, posso farlo anche io”, dicono. Capirai che non posso permettere insubordinazioni. Ho bisogno di essere rispettato.»
«Ci vuole tempo per ottenere rispetto.»
«Mi accontento di essere temuto.» Mi sputa addosso l’unghia smangiucchiata.
Balzo in piedi e lo agguanto per la camicia, i nasi quasi si sfiorano. «Come ti permet–»
Rumore di sicura, qualcosa di freddo mi si appoggia alla tempia.
Lascio andare Tiberio. Ha un sorriso folle stampato in faccia.
«La verità è che nessuno ti rispetterà mai. Sei un poppante!»
«Hai ragione. Ci vuole un cambiamento.» Disincastra la lama dal tavolo e me la punta alla gola. «Non posso permettere che i miei uomini sniffino coca invece di spacciarla. Ammazzarti sarà il giusto monito.»
Vuole davvero sgozzarmi? I capelli mi si appiccicano alla fronte, ho la vista offuscata.
«Hai ragione, Tiberio, è tutta colpa mia, ma è stata solo una cagata.»
«Una cagata hai detto?»
Ho un groppo in gola, non riesco a parlare. Faccio sì con la testa.
Tiberio richiama il gorilla. «Tienilo giù.»
Quello mi sbatte a terra e mi pianta il ginocchio sul petto.
Tiberio si mette sopra la mia faccia. Slaccia la cintura, abbassa pantaloni e boxer e si china.
Il buco del suo culo è sopra la mia bocca. Giro la faccia ma il gorilla me la afferra e la tiene ferma. Mi tappa il naso.
No cazzo, no!
«Questa è una cagata, Corto.»
Apro la bocca per respirare e me la ritrovo piena di merda. Me la sento in gola, nel naso.
Vomito.
«Hai capito chi comanda, ora?»
«Sì, capo.» Striscio sul pavimento fino alla porta, sputo un grumo. «Non succederà mai più e farò rigare dritto anche gli altri. Te lo prometto!»
«Bravo, Corto. Papà lo diceva sempre che eri uno dei suoi preferiti.»