
«Giù!» dice. «Giù!» ancora.
Allora le fai fare l’aeroplanino e lei plana, plana e plana fino a poggiare i piedi per poi subito ripartire verso la pallina, verso il limone che tieni in giardino, verso qualunque cosa entri nel suo raggio visivo procurandole immagini ricche di misteri da svelare.
E intanto lo senti, il tempo che scorre, un conto alla rovescia su cui non hai potere.
Tic tac.
Tic tac.
Tic tac.
«Su!» nel dirlo alza le braccine e aspetta priva di un qualunque minimo dubbio.
La prendi e la sollevi verso il cielo, la senti vibrare di eccitazione. Te l’appoggi sulla spalla, tenendola ben stretta che non si sa mai, e lei punta verso l’alto.
«nine!» esclama e poi si lascia andare a uno di quei «Ooohhh» che così bene vengono ai bambini.
«Rondini» le spieghi «Giocano.»
Un altro «Oooohhhh.»
Due giorni prima: la grandine, la distruzione dei nidi, la morte. Ora “giocano” la loro vita. Il passato, cos’é? Il futuro, perché?
Ancora un «Ooohhh!», ma non più rivolto alle rondini. La palla di fuoco è ora visibile nel cielo, la indica con il ditino.
Non hai mai avuto due soli, da piccolo. Lei sì, anche se per pochi, drammatici, attimi.
La senti gorgogliare, come quando si immagina un gioco nuovo ed emette quel verso che le sussurri quando fai combattere il Pinocchio con l’orsetto: «Gsh! Gsh!»
«Gsh! Gsh!» fa indicando il nuovo sole.
«Gsh! Gsh!» le fai di rimando e lei ride. «Boom!» concludi intristendoti.
«Boom!» ti fa eco, ed è la prima volta che lo dice, «Boom!» e tu pensi alla sua prima parola con la “bi”.
I cani sono nervosi, abbaiano. L’aria si fa tersa, o è solo una tua impressione. Le rondini devono essere volate a “giocare” altrove. O forse si sono solo nascoste.
«Giù! Giù!» ti chiede e tu, di nuovo, a farla planare.
La sua manina ti guida verso la strada, dove ci sono le rose che si protende sempre ad annusare e il topolino in pietra al quale ruba tutte le volte il nasino.
La strada è vuota, non una macchina che sia una. Che poi… Non è che abiti in un paese chissà che trafficato, ma il contesto ti porta a immaginare che siano tutti insieme ai propri cari, che tanto che c’è da fare? Dove c’è da andare?
«Hanno detto dove colpirà? Ciao piccola!»
È l’anziana vicina, quella che ogni giorno si fa i cinque chilometri per la forma. Ti lasci trascinare dalla manina verso il cancello che vi separa da quella domanda. L’altra manina sta salutando.
«Oh, ma che carina che sei! E che gentile! Oh, che fai? Rubi il nasino al topolino in pietra? Brava! Bene, ora devo andare che sennò non ci arrivo al mio balcone e gradirei tantissimo (lo dice enfatizzando il tutto come si fa quando si parla ai bambini) riuscire a sedermi in veranda con una bella birra ghiacciata prima di… Beh, quello…»
«Boom!»
«Ma che brava che sei! Sì proprio quello!»
Le carezza il viso attraverso la sbarra del cancello e se ne va.
L’osservi allontanarsi, non sai che pensare.
Non ci riesci proprio, a pensare.
«Su! Su!»
Agisci d’istinto e la sollevi tenendola in aria e facendola roteare.
Un giro.
Due.
Tre.
E infine la vedi arrivare e ti sembra di capire, come quando si hanno quelle illuminazioni che sei sicuro che ti cambieranno la vita, ma che dopo pochi istanti già non ricordi più: lei che ride sullo sfondo color fuoco, le sue manine che afferrano l’aria, i capelli dorati che danzano leggeri come i suoi pensieri. Vedi la sua felicità, che è anche la tua.
Inaspettata e, forse, finalmente eterna.