
E bravi i monaci benedettini. Inclino la bottiglia: Birra Nursia bionda, antica tradizione monastica.
Elena ha finito il giro della bottega. «Questo mi hanno detto che fa bene per il raffreddore.» Agita una boccetta, sposta la sciarpona a fiori rosa che le copre il mento e annusa l’essenza.
«Sono sicuro che anche la birra faccia benissimo!»
Lei mi ignora. Rimetto a posto la bottiglia con una carezza al collo di vetro.
Elena consegna la boccetta al monaco alla cassa e io sgancio dieci euro. «Ci ripassiamo domenica prossima per la birra, va bene?»
Il monaco sembra immobile, ma dietro la barba mostra un piccolo sorriso.
Seguo Elena fuori nella piazza bianca di pietra e sole. Lei guarda la basilica come io guardo lei. Incantata.
Le circondo le spalle con un braccio. Molto virile sentirsi invidioso di un sacco di pietre.
Poggia la testa sulla mia spalla, potrebbe essere il momento perfetto… Ma come si fa a dire ti amo una volta che è vero?
Mi tira verso corso Sertorio. «Dami, andiamo da Dolcezze?»
Tè e pasticcini oggi. Per dichiararsi domenica prossima insieme alla birra, magari mi vengono le parole.
Inalo il profumo del tè al gelsomino.
Un ciabattare strascicato, papà attraversa la cucina, direzione la moka. «Buona domenica.» L’orologio proclama le 7:40. Ora di muoversi, per la Valenerina ci vuole un sacco con la strada interrotta.
«Giorno.» Prendo un sorso bollente. Vorrei tanto che Elena tornasse a scrivere la tesi dai suoi. Restare dalla zia sui monti, che stupidaggine dopo che—
Il palazzo geme, scricchiola e mi balla sotto i piedi.
«Diavolo, il terremoto!» Papà slitta oltre la porta.
Il terremoto di nuovo. Un rombo sale per le pareti e l’orologio cade.
Mollo la tazza, corro verso una voce, è mamma aggrappata allo stipite. Lei grida e la scossa continua. Stavolta crolla tutto.
I cani prendono ad abbaiare mescolati con gli allarmi delle auto. È finito.
Sul tavolo della cucina il tè è sparso ovunque, dentro la tazza non ce n’è più.
Norcia è al TG in una nuvola di polvere. «San Benedetto non c’è più.» La voce di mamma si perde in un fischio che è dentro le mie orecchie.
Inspiro, ma l’aria non c’è. Afferro il telefono, il numero di Elena è il primo. Chiamo per la millesima volta. Il telefono squilla, squilla a vuoto.
Io l’ho lasciata da sola tutta la settimana. Dovevo vederla oggi…
Il tefono squilla, a vuoto.
Nello schermo suore e pompieri corrono intorno alle rovine. La basilica non c’è più e nemmeno la bottega.
Ti prego rispondi, ti prego.
«Damiano» Voce strozzata di pianto, la sua voce. Grazie, grazie, grazie.
«Elena…» ingoio il fiato.
«Ero in strada. Voi state bene? Non prendevano i telefoni…»
«Sì, qui bene. Siamo scesi… tu non rispondevi.» Qualcosa sale e scende in gola e non riesco a cacciarlo. Mamma e papà si abbracciano davanti alla tv.
«Damiano, ma piangi?»
«No, sì…» tiro su con il naso e mi passo una mano sugli occhi. «Oggi non la posso comprare la birra trappista però…»
«Che dici?» Piange pure lei.
«Dico che vengo da te perché devo dirti una cosa.»