
A Valbassa c’è un pozzo nella piazza principale. Un pozzo di pietra di quelli che si vedono nelle illustrazioni delle fiabe, con le pietre squadrate e levigate dal vento, un piccolo tetto a capanna e un travicello con appesa una carrucola da cui scende la corda con il secchio. Però il pozzo di Valbassa non ha acqua, è secco da molto tempo e ora resta come decorazione nel suo angolo, coperto di muschio e licheni, soppiantato dalla fontana sul lato della Chiesa con una pompa a mano a tirare su l’acqua e da cui è molto più comodo attingere.
Il pozzo ha finito la sua acqua, ma non è esaurito. Il vecchio secchio cerchiato di ottone è ancora appeso in alto a prendere il vento, a oscillare e roteare. Un tempo sui cerchi c’erano incise scritte, istruzioni, preghiere forse. Si sono consumate colpo dopo colpo, ma ancora qualcuno le ricorda e le tramanda. Così nelle notti giuste, con la luna piena o forse nuova, con la giusta congiunzione dei pianeti o quando gli uccelli volano in maniera propizia, non è insolito che ombre furtive si aggirino per la piazza, guardandosi attorno per accertarsi di essere sole prima di avvicinarsi al pozzo.
Mettono nel secchio un involto, un cartoccio, una scatola o un sacco debordante. Carichi pesanti e carichi leggeri. Poi calano il secchio facendo cigolare la carrucola.
Arrivato sul fondo il secchio, li puoi quasi sentire che contano fino a dieci a mezza voce, che fissano con terrore la corda quasi aspettandosi che qualcosa risalga dal basso usandola per scalare le pareti verticali di pietra con unghie e zampe. È con sollievo che iniziano a tirare di nuovo con fretta malcelata, appena passato il tempo costituito. Tirano e tirano e il secchio risale rimbalzando contro la roccia. Vuoto. Senza creature appese e senza l’involto che ci avevano deposto.
Riappendono il secchio al suo piolo sulla trave e se ne vanno di corsa, desiderando solo tornare alle loro case calde e luminose.
Qualcuno si rimette a letto e si sente sicuro dello scambio. Dorme.
Qualcuno si rimette a letto, ma inizia a domandarsi se ha offerto abbastanza. Fissa il soffitto e dubita fino al mattino.
Ogni tanto succede qualcosa di bello agli abitanti di Valbassa. Un’inattesa fortuna, un affare troppo favorevole, una piccola epidemia tra le vacche che scompare senza ragione, un figlio che guarisce, un marito che torna dalla guerra illeso.
Ogni tanto succede qualcosa di bello a un abitante di Valbassa, e quando la voce si sparge per qualche tempo tutti i tengono alla larga dal pozzo, come se lo sentissero masticare e digerire, ponderare lo scambio.
Gli abitanti di Valbassa distinguono presto chi torna alla normalità da chi inizia a spegnersi. Sanno che ha sbagliato, sanno che la sua offerta era carente, sanno che non può rimediare.
Ogni tanto succede qualcosa di bello a un abitante di Valbassa, ma per il resto della vita non sfoggerà il sorriso di chi è baciato dalla fortuna. Per il resto della vita avrà l’occhio spento di chi ha perso sé stesso per non aver pagato il giusto prezzo, l’occhio spento di chi sa cosa lo aspetta alla fine del viaggio, quando finirà sottoterra nel cimitero di Valbassa in fondo alla collina.
La creatura del pozzo ha pazienza. Scaverà dal basso per venirlo a prendere. Per riscuotere. Per tenerlo con sé per sempre.