Il rito indiano del tè della pace

Maya si umettò le labbra. Doveva distogliere lo sguardo dalla tazza, doveva stare calma. «Insomma, era per chiederti scusa.»
Roberto piegò la testa sul tavolo. Perché non beveva?
Ester si mangiava le unghie come se fossero state di caramello. Maya le prese una mano. «Vero Ester? Ci siamo pentite.»
Annuì. «Sì, siamo state due stronze.»
«Mi avete messo gli assorbenti nello zaino.»
Ester batté sul tavolo. «Due stronze, l’ho detto.»
«Per questo ti ho invitato. Il rito indiano del tè della pace.»
«Il calumet.»
«Eh, ma questo è un tè.» E bevi ‘sto cazzo di tè! Maya si morse la lingua.
Il secchione infilò l’indice nel manico. «Va bene.»
Finalmente!
«Certo, me ne avete fatte passare…»
Ester sbuffò. «Sì, dai, ora bevi però.»
Roby spinse gli occhiali verso la fronte. «Non è che ci avete messo il lassativo?»
La gola di Maya si chiuse. Ester finse di ridere. «Cazzo dici?»
«Mmm.» Roberto fece un sorso. Riabbassò la tazza sul tavolo.
Maya si piantò le unghie nelle ginocchia, si accostò a Ester. «Quanto ci vuole?» sussurrò.
Roberto inclinò la testa, la sua bocca si piegò in un ghigno ebete.
Ester si allungò sul tavolo e gli pizzicò una guancia. «Ecco: ora è in tuo potere.» Si indicò. «Allora? Chi è una strega coi controcazzi?»
Maya sorrise, le fece cenno di tacere. «Roberto, ascolta.»
«Eh…»
«Farai il lavoro di gruppo della prof Furlani per noi, hai capito?»
Roberto aveva lo sguardo perso. Un filo di bava colò da un angolo della bocca.
Ester fece un verso. «Che cazzo…»
«Cos’ha?»
«Non lo so.»
«Dovrebbe obbedire, non sbavare.»
«Eh, lo so.» Ester si sporse in avanti «Qualcosa non va.» Gli spinse la fronte con l’indice.
Roberto s’inclinò e cadde battendo il mento contro la credenza.
«Gesù Cristo!» Maya portò le mani alla testa. «Che cazzo hai fatto? Questo è diventato scemo! Altro che migliore della classe!»
«Oh, May, il libro diceva che avrebbe obbedito.»
«Porca troia, Ester! E adesso?»
«E adesso niente.» Fece spallucce. «Lasciamolo sul marciapiede.»
Maya gridò tra i denti. «Ma cosa sei, scema? Cosa diranno i suoi? E se sapevano che veniva da me?»
Ester stirò la bocca, annuì. «Hai ragione.» Infilò l’indice tra i denti.
«Finiscila di mangiarti le unghie.»
«Ok, ci sono! Lo facciamo sbattere e diciamo che è caduto dalle scale. È normale che così uno diventa ritardato, no?»
Roberto guardava il soffitto sdraiato sulle piastrelle. Maya fece un respiro profondo. Che idea stupida. «E se poi l’ammazziamo?»
«Eh, sempre dalle scale è caduto.»
«Cristo, Ester…»
«Ok, allora di’ tu.»
Maya scosse la testa. Com’era finita in quel casino? Ester e le sue stronzate sulla magia nera. «Che idiota a fidarmi del tuo manuale della bancarella.»
«Ora è colpa mia?»
«Eh.»
«L’hai preparato tu il filtro.»
«Sì, ma seguendo la tua ricetta. Io ho—» Un senso di nausea le strizzò la pancia. «Oh cazzo.»
«Cosa?» Ester la prese per le spalle. «Oh cazzo, cosa?»
«Ci ho messo le radici di genziana.»
«Cos’hai fatto?»
«Ho aggiunto—»
«Ho capito, cretina! Perché?»
«Le metto sempre nel tè. Lo fanno più buono.»
«Ma quello non era un cazzo di tè!»
«Ma doveva sembrarlo, no?»
Ester alzò le mani. «Adesso cazzi tuoi. Io ti avevo dato la soluzione ai nostri problemi, tu hai fatto casino.»
«Oddio.» Ora doveva davvero inscenare la caduta e sperare che quel coglione di Roberto non s’ammazzasse.
Roberto si tirò su. «Merda che male.» Si massaggiò il mento. «Cos’è successo?»
Ester lo guardava con gli occhi spalancati, Maya deglutì. Che poteva dire?
«Mi avete messo del sonnifero! Siete pazze, cazzo! Io vi denuncio.»
«No, no, Roby—»
«No, no Roby un cazzo! Io vi mando in riformatorio, brutte sbroccate!»
«No, ascolta. Facciamo un patto.»
Roberto si pulì gli occhiali nella t-shirt. «Un patto.»
«Noi smettiamo di tormentarti e… ti facciamo il lavoro di gruppo della Furlani. È tanto lavoro, se ci pensi.»
Roberto infilò gli occhiali. «E non mi tormentate più.»
«Te lo giuro.»
Il secchione sospirò. Prese la giacca dal divano. «Va bene. Allora buon lavoro, streghe. Voglio almeno un otto.» Uscì, la porta sbatté.
Maya sospirò, si lasciò cadere sulla sedia. Ester la guardava scuotendo la testa.
«Cosa? Che c’è?»
«Il lavoro della Furlani lo fai te.»
«Oh, dai bella.»
«Io la ricetta te l’avevo data.» Ester le mostrò il medio. «Preparati un tè alle radici di genziana e buon lavoro.»