
6 maggio 2119
Ci siamo arrivati.
Dio, dammi la forza di farlo.
7 maggio 2118
«’Ste lampadine biodegradabili non illuminano un cazzo» bofonchia mia moglie. Sono tre anni che Carla trascorre le serate a leggere sdraiata sul divano, dopo aver piluccato soltanto mezza cena. Legge per evadere, dice. Io resto seduto a tavola, mi ingozzo di macrobiotici liofilizzati mentre il silenzio mi satura le orecchie.
«Usa la piantana» le dico.
«Mi dici dopo, okay?»
Carla non mi ha ascoltato, come sempre.
6 maggio 2119
«Hai paura?» Il tono è di sfida.
Se le rispondessi di sì, magari piagnucolando, lei avrebbe un orgasmo.
Dio, fa’ che vada come ho immaginato.
7 maggio 2118
«Come stai?» le chiedo.
«Sto che la nostra è un’esistenza scialba!» urla. Quindi falcia col braccio piatti e bicchieri.
Li sento esplodere, andare in frantumi. Come il nostro matrimonio.
«Mai uno scossone che venga a distruggere ’sta maledetta monotonia» conclude, sbottando a piangere.
L’ennesimo vuoto tra noi, unito al ricordo di quella lite, m’infonde coraggio. Mi alzo e esco di casa.
Abitare vicino a una periferia malfamata non è sempre un male.
«Amico, questa è da antiquariato, roba per collezionisti» mi dice il fenomeno. «Ma Cristo! Ancora funziona che è ’na bomba.»
«La prendo.»
Rientro sbattendo la porta.
Non un sussulto, non un movimento, Carla sta ancora sul divano. Non sembra neanche essersi accorta della mia assenza.
«Guarda che mi sono procurato» le dico, agitandola in aria.
Continua a ignorarmi, così avanzo per farle ombra.
«E levati!» sbotta, restando a bocca aperta. Chissà se sia terrorizzata o solo sorpresa.
Gliela piazzo a un centimetro dal naso. «Guarda che mi sono procurato, ho detto». Nei suoi occhi nessuna paura.
«Promettimi che ogni sabato giocheremo, e faremo l’amore» mi dice con occhi tremolanti.
«Te lo prometto.»
Non ricordo più l’ultima volta che ci siamo abbracciati così forte.
6 maggio 2119
Lei si passa una mano tra i capelli, tira un lungo sospiro. Mi chiedo se sia tornata a considerarmi uno smidollato che non osa, che non realizza mai niente; carriera, figli, niente di niente. Del resto, l’idea dei giochi è stata sua.
4 febbraio 2119
Stamattina la noia e l’apatia si sono di nuovo impossessati di lei. Tutto quello che ha escogitato non è servito a niente. Non sono serviti i giochi nelle boscaglie, il rischio di farci beccare che ci andava in circolo come un afrodisiaco potente. Come non è servito usare gli animali, dopo che si è stufata di farlo con i soliti oggetti. Per me è stato sempre frustrante, ma l’assecondavo per non deluderla. Speravo che, prima o poi, sarebbe guarita.
Quindi, a pranzo, ho voluto darle uno scossone che avrebbe dovuto terrorizzarla e farla rinsavire. Gliel’ho proposto io, il gioco nuovo. È stato un errore: mi ha abbracciato, baciato sul collo, sulle labbra; abbiamo fatto l’amore.
«Ascolta, non ne sono più convinto.»
Carla mi sorride. «Tranquillo, iniziamo con la versione classica». Occhi febbrili per l’eccitazione.
«Sarebbe?»
«Un colpo solo, e si tira a sorte per chi inizia il turno.»
«Stiamo degenerando» mormoro.
Lei incrocia le braccia sul petto. «Niente affatto. Anzi, se passiamo il turno, ogni primo sabato del mese aggiungiamo un altro colpo.»
Mi manca l’aria. «Non…» Temo la risposta. «Non pensi che sia ora di finirla?»
Sbuffa. «Ne riparleremo se passeremo il turno da quattro colpi. Ben disposti, s’intende.»
Per un attimo mi estranio, cercando di immaginare come sarà quel turno…
(6 maggio)
Carla mi ha chiesto se ho paura.
Lei ha già tirato. Vuol dire che anche la prossima camera potrebbe essere scarica, oppure…
La mano mi trema. Sento il tocco freddo della canna sulla tempia. Un’antica rivoltella Smith & Wesson 617, con un tamburo a dieci camere.
«Forza, dimmelo» mi ringhia. «Dimmi che hai paura». Negli occhi una corruzione insaziabile.
Realizzo solo ora che se io morissi ne godrebbe.
Va’ al diavolo.
Le punto la pistola contro.
Lezzo di cordite. I suoi occhi sgranati che si chiudono.
…e non ho più paura.
«Va bene, mi hai convinto» le dico. Un ghigno mi tira la pelle del viso.
La fine dei giochi sta per arrivare.