
Carissimo,
ti lascio questa come memoria di me, di quello mi ha scomposto fino a rendermi granelli di desideri irrealizzati e sogni lasciati a metà. Ti lascio queste righe per affrontare tutti i perché che verranno a trovarti di notte.
Ho imparato a camminare a sette mesi. Già da piccola sentivo l’esigenza di dover scappare via anche senza una meta. Ho imparato a farlo da sola e mai davvero bene. A volte penso che il mio modo sgraziato di camminare affondi radici in quella fretta di andare.
Non ricordo lodi per nessuno dei miei successi, che venivano banalizzati, mentre ogni mio errore veniva ingigantito a dismisura. Sono sempre stata la valvola di sfogo di una famiglia tenuta insieme da una gravidanza inaspettata e una morale troppo attenta ai pregiudizi della gente per pensare a soluzioni che non prevedessero il matrimonio.
Ogni problema ricadeva su di me come pioggia sotto forma di botte. Ricordo il dolore, ma a farmi piangere – oggi come allora – è il senso di impotenza. Da piccola mi sentivo impotente quando mio cugino rompeva i miei giocattoli e dopo il litigio tutti, inclusi i miei genitori, prendevano le sue difese perché io per dispetto rompevo i suoi.
Mi sentivo impotente quando a scuola i ragazzi iniziarono a palparmi. Mi sentivo impotente anche di fronte a mia madre, che persino in quell’occasione riusciva a incolparmi di quanto mi accadesse. Mi picchiava, diceva che ero sporca.
Ho convertito l’impotenza in silenzi e sono andata avanti. Con il mio passo sgraziato che porto con me dai primi mesi di vita cammino senza avere una meta.
Il test di gravidanza è stato un pugno allo stomaco.
Mi sono guardata allo specchio, ma nello specchio non ci sono io. C’è l’ombra di mia madre e di sua madre prima di lei e di quel circolo di violenza, ansia e desideri mancati che si annichilisce su se stesso, si avvolge come un nastro rotto e contorto. C’è il fantasma di ciò che porto in grembo. E lì ho capito.
Sono la copia deforme e d’un tratto identica a ciò che è venuto prima di me. Mia madre, che nel suo matrimonio non voluto ancora minorenne si è vista strappare via la gioventù da una neonata. Mia nonna che ha subito lo stesso destino. Siamo donne uguali che senza mai capirsi e incontrarsi continuano ad andare nella stessa direzione senza meta.
E lì l’ho vista: un’altra bambina che avrebbe camminato a sette mesi sotto angherie e pressioni. Avrebbe corso e corso fino a schiantarsi nel loop.
Avrebbe subito le mie ansie e le mie insicurezze, la mia incapacità di mostrare amore. La mia frustrazione, quella che ho e quella che ancora non so di avere. Essere madre è un dono solo se non diventa una punizione per il figlio.
Carissimo,
prenditi cura di lei. Lascia che gattoni finché non si sentirà pronta, loda i suoi meriti e correggi i suoi difetti. Difendila sempre, ti prego difendila sempre.
Ama mia figlia come io non sarò mai in grado di fare.
Aiutala, passo dopo passo, a capire dove porta questa vita, qual è la meta.
Firmato,
una madre mai nata