
Virginia entrò in aula.
La luce mattutina di Firenze entrava dalle finestre e rimbalzava sui banchi delle compagne di classe.
Soltanto la metà di loro alzò lo sguardo dai loro cellulari. Due la salutarono con la mano.
Lo stomaco le si distese un pochino.
Oggi sembrano tranquille.
Raggiunto il suo posto, posò la cartella e si sedette. Infilò le dita smaltate di fresco sotto il banco.
La prima ora non era ancora suonata, faceva in tempo a…
«Attente a ‘i capo, ragazze!» La voce di Olimpia squillò nell’aula «Il mondo ha accelerato di botto!»
Il resto della classe scivolò dalle sedie dov’erano sedute e mimarono cadute rovinose sul pavimento a chiazze bianche e nere.
«Ohi ohi!» fece Tullia, torcendosi un polso e ridendo come una pazza.
La punta delle guance di Virginia si fecero calde come braci.
Sfilò la mano dalla cartella e la sbatté sul banco.
«Non siete per niente divertenti!» strillò.
«Buone ragazze, chetatevi un poco!» la prof. Cappelli entrò in aula col portatile sottobraccio.
Virginia esibì la mano destra col dito medio sparato all’insù.
Olimpia si picchiettò l’indice sulla tempia e la guardò in cagnesco.
«Quando avete finito di fare le bambine dell’asilo, comincerò la lezione…» sbuffò la professoressa.
Virginia raggiunse Livia fuori dai cancelli, proprio sotto la targa smangiucchiata dal tempo “Scuola privata femminile San Matteo in Arcetri”.
Con la cuffia calzata sulla chioma nera e la sciarpa sotto il naso a malapena era quasi irriconoscibile. Virginia non la biasimò. Anzi, si pentì di non essere uscita dal convitto con la sciarpa pure lei. Sarebbe stata utile.
«’ao.» miagolò sua sorella, il naso puntato sullo smartphone.
«Uomini di galilea, perché restate a guardare il cielo?» esclamò una voce baritona dalle casse del cellulare.
«Smettila di guardare quel video.» Virginia riconobbe frate Tommaso Caccini, sul pulpito di una Santa Maria Novella piena di persone, agitare le braccia contro la folla.
Il titolo, in un angolino dello schermo, diceva “Domenicano sbugiarda la teoria eliocentrica”
Le due percorsero un bel tratto di via dei Villani, il cielo invernale sgombro da nuvole inondava i ciottoli e i muri delle case ai bordi della strada.
Livia cacciò lo smartphone nella tasca del giubbotto.
«Cosimo non mi porta più alla festa a Villa Medicea, stasera.» sospirò Livia.
«Eh? Dopo che ti ha praticamente implorato di andarci con lui per un mese?»
«Ha fatto il vago, ma ho capito che non vuole farsi vedere con me per non essere preso in giro. Non vuole uscire con una che ha il babbo con le cheche…»
Il tono della sorella le fece venire un groppo in gola.
Lei non aveva un ragazzo, ma un’intera classe che la sfotteva da quando suo padre aveva pubblicato online il suo lavoro.
Virginia riesumò dagli scaffali della memoria la prima infornata di commenti che lesse subito dopo:
“Molla ì fiasco e torna a studiare, Galilei…”
“Il quarto d’ora del bischero.”
“Apri le finestre, così lo vedi pure tu il sole che si muove…”
La mamma faceva orecchie da mercante, ma aveva capito che loro padre stava passando un momentaccio tra le mura dell’Università.
Via di Bellosguardo si spalancò e le mura del dormitorio le accolsero.
Soltanto un paio di inservienti stavano pulendo le scale in marmo bianco: erano salve fino alla lcamera.
«Virgi…» Livia si era fermata tre passi indietro, la sciarpa viola penzolante «secondo te babbo ha ragione?»
Lei esitò un attimo. Inspirò.
«So solo che quando era il sole a girare attorno al mondo» sferrò un calcio al terreno, la punta della scarpa scavò una piccola ferita nella ghiaia «la scuola non era un incubo.»
Bussarono alla porta.
Virginia scattò e si mise seduta sul letto.
Livia, dall’altra parte della stanza, chiuse il libro su cui stava studiando.
Che fanno, ora vengono a pigliarci pe ì culo anche a domicilio?
Quando vide sua sorella afferrare il libro e prepararsi a lanciarlo, abbassò la maniglia.
Olimpia che prendeva un volume di matematica in fronte poteva migliorarle la giornata.
Alfonso il custode entrò con in braccio uno scatolone.
«Signorine Galilei, è arrivato questo da Villa dell’Ombrellino. Vostro padre ve lo manda, credo.»
Si fece un segno della croce appena finito di scandire la frase, girò i tacchi e se ne andò senza chiudere la porta.
Livia posò il libro e si avvicinò.
Virginia aprì lo scatolone e ne estrasse il contenuto.
Un tubo lungo e avvitato in un fulcro, il tutto sostenuto da tre sottili gambe.
Livia prese a muoverlo per la sua corsa, girandolo e inclinandolo.
I loro cellulari squillarono.
Virginia lo tirò fuori dalla tasca della gonna e lesse il messaggio.
“Figlie, l’opinione mia è che nissuna cosa sia contro natura, salvo l’impossibile, il quale, poi, non è mai. Non si può insegnare niente; si può solo far sì che uno le cose le trovi in se stesso. Usatelo con cura.”
Virgi alzò la testa.
Sua sorella aveva appena finito di leggere lo stesso messaggio sul suo smartphone e la guardava. Sorrisero.
Livia corse alla finestra e la spalancò.
Il miglior cielo stellato di sempre.
«Oh beh, tanto alla festa non ci vado più.» esclamò livia.