One More Light

Cara Anna,
devo ammetterlo, mi sento terribilmente stupida a scriverti una lettera. Ma la psicologa ha detto che potrebbe aiutarmi a mettere a parole cose che ancora non riesco ad affrontare, quindi mi sono detta… boh, perché no. Vale la pena di fare un tentativo, credo.
Sì, sto vedendo una psicologa, ora. Alla fine, hai vinto. Ancora non so se mi sia utile o meno, in realtà. Io vado là e le parlo di quello che è successo e come mi sono sentita durante la settimana e ragioniamo insieme. Non penso che mi abbia davvero cambiato la vita, ma almeno per quell’oretta mi sembra quasi di poter trovare una soluzione alle cose. Più un placebo che una cura.
Non lo so, Anna. Tutti mi sciamano intorno di continuo chiedendomi come sto. Hanno quella faccia… quella faccia. Con le sopracciglia un po’ piegate all’ingiù, la ruga in mezzo alla fronte. A volte vorrei urlare che devono smetterla, che sto bene, diamine. Non capisco cosa vogliano. Ormai sono passati quasi due mesi. O qualcosa del genere. Mi chiedo quando mi lasceranno finalmente in pace.
Pensa che mia madre ieri mi ha portato una tisana calda. Mia madre, ti rendi conto? È entrata in camera senza dire niente, ha posato la tazza sulla mia scrivania ed è tornata indietro. Si è fermata un attimo sulla soglia; penso che volesse parlare, ma alla fine se n’è andata in silenzio. Io stavo litigando con un esercizio di fisica che non ne voleva sapere di riuscirmi, quindi sul momento non ci ho quasi fatto caso.
Ho un esame tra due giorni e non mi entra in testa niente. E lo so che faccia stai facendo. Ogni volta che dico “fisica” fingi di vomitare. Ma ti giuro che mi piace, è solo che a volte ho l’impressione di non piacere io a lei.
Credo di capire come ti sentissi, sai? Quando me ne parlavi, avevo l’impressione che esagerassi, ma… ora non ne sono più sicura. Una volta hai detto che ti sembrava che il tuo cervello semplicemente non ce la facesse. Come quando tuo fratello tentava di far partire un videogioco sul vecchio portatile di vostro padre e, la metà delle volte, il computer non reggeva.
Ecco, non avrei potuto trovare una metafora migliore. Due mesi che studio e non ho nemmeno finito la teoria. Il mio cervello è bloccato sulla schermata blu della morte. E mi sento così dannatamente stupida.
Perché non ho capito. Non ho capito un cazzo, Anna, e me ne rendo conto solo ora.
Troppo tardi.
Se solo avessi ascoltato. Tu non sei mai stata il tipo di persona che chiede aiuto, ma gli indizi li avevi dati. E io non li ho visti, distratta com’ero dal macinare un esame dopo l’altro per prendermi in fretta questa laurea e andarmene, da Giulio e da quanto mi piacesse, da mille altre cose.
Ero la tua migliore amica e ti ho lasciata sola.
Ora sì che vorrei urlare davvero. E sto urlando, perché la verità è che ti ho uccisa io. Ti ho uccisa non cogliendo i dettagli. Ti ho uccisa perché non ho creduto a quanto stessi male.
Sto piangendo, Anna. Non vedo un cazzo di quello che sto scrivendo, ma non prendiamoci in giro, questa lettera non la leggerai mai. Però sì, sto davvero frignando. Io, che non lo faccio mai. Che non l’ho fatto nemmeno quando tuo fratello mi ha chiamata con la voce rotta per dirmi di te.
Sto piangendo in ritardo di due mesi per una cazzo di lettera.
È vero. Non sto bene. E spero solo che la tempesta passi presto.