La tempesta

Fuori infuriava la tempesta, una di quelle che la gente continuava a chiamare “tropicali”. A quanto pareva, ormai i tropici erano ovunque.
Il telefono squillò. Cristian esitò un attimo prima di rispondere.
«Pronto?»
«Papà? Dove sei?»
La voce di Sara era carica di preoccupazione. Cristian si sentì quasi in colpa.
«A casa.»
«Papà, stiamo seguendo le notizie online. Te ne devi andare! Tra poco le strade saranno impraticabili, la protezione civile ha detto che garantisce la sua presenza solo per le prossime due ore!»
Cristian sospirò e guardò fuori dalla finestra. Le onde arrivavano quasi fino al cancello. Un tempo, quella casa guardava il mare dall’alto in basso. Ma era un tempo lontano, in cui la protezione civile non abbandonava nessuno e il paese era pieno di vita e di turisti.
Con gli anni, ricostruire le spiagge dopo le mareggiate era diventato sempre più impegnativo. Intanto, i giovani avevano cominciato ad andarsene sempre più numerosi, lontani dalla provincia, verso le grandi città.
Dopo le spiagge, era sparito il lungomare. E dopo il lungomare, le strade più vicine alla costa. Erano gli anni in cui tutti cercavano invano di evitare che Venezia sprofondasse. Figurarsi se ci si poteva preoccupare di un paesino già mezzo spopolato.
«Resto qui» insistette Cristian. «Dove altro potrei andare?»
«Ci sono dei centri per gli sfollati» rispose Sara. «E appena la situazione si sistema, puoi venire da noi. I bambini sarebbero così felici di averti qui. O se Pechino è troppo lontana, puoi andare a stare da Roberto, a Parigi. Lo sai che anche a lui farebbe piacere…»
Per i suoi figli, sembrava che ogni luogo del pianeta fosse dietro l’angolo. E, in effetti, se uno viveva in città era così. Le grandi metropoli erano tutte interconnesse, bastava poco per spostarsi da una all’altra. Nelle metropoli, ci si difendeva tutti insieme dal clima impazzito. Al di fuori, regioni sempre più vaste venivano restituite alla natura, un’espressione altisonante che i politici usavano al posto di abbandonate.
«È già il quarto giorno di tempesta» disse Cristian. «Di sicuro, tra un po’ finirà.»
«Papà…»
«Non può piovere per sempre, giusto?»
«Papà, dove è arrivato il mare?»
«È ancora lontano.»
«Accendi la videocamera e fammi vedere.»
«Si è rotta. Non hai idea di quanto sia difficile qui trovare qualcuno che ripari i cellulari.»
Sara non rispose. Cristian sapeva che non gli credeva.
«Sai, ogni tanto dovresti venire a trovarmi. Portare i bambini lontano dall’inquinamento, a farsi un’idea di com’era il mondo a inizio millennio.»
«Il mondo di inizio millennio non esiste più. Dovresti fartene una ragione.»
«Sono troppo vecchio. Mi dispiace.»
«Papà…?»
«Sì?»
«Mi prometti che se le cose si mettono male te ne vai dalla costa?»
«Non c’è bisogno. Te l’ho detto, sta già smettendo di piovere. Salutami i bambini.»
Mise giù e tornò a guardare fuori. La tempesta non accennava a placarsi. Un grosso ramo di palma gli passò davanti, trasportato dal vento.
Cristian fece un respiro profondo. Quella era casa sua. Non voleva andarsene. Eppure, aveva paura. Cercò di rievocare i ricordi di un tempo in cui sembrava che l’uomo avesse il controllo totale sulla natura, ma il rumore della tempesta rendeva difficile concentrarsi.
«Non può piovere per sempre…» mormorò a se stesso, mentre fissava le nuvole nere e le implorava silenziosamente di avere pietà.