QUESTIONE D’ONORE

Non sapevamo che quella sarebbe stata l’ultima volta che avremmo visto Porcospino.
Ne avevamo passate tante insieme e, in un modo o nell’altro, ce l’eravamo sempre cavata. Nessuno si aspettava quella disfatta.
Nessuno di noi credeva davvero che quella sarebbe stata la sua ultima missione.
Nessuno aveva voluto dar retta a quanto profetizzato dai Malvagi. Sarà che ci avevano minacciato spesso, prima di quella volta, ma in qualche modo, l’avevamo sempre scampata.
“Se non lo fai, se lasci che la paura abbia la meglio, questa volta, sei fuori!”. Lupo teneva gli occhi fissi nei suoi.
“Ho detto che lo faccio e lo faccio!”. Porcospino si grattava la testa piena di aculei biondi con mano nervosa.
“Non ci credo finchè non ti vedo colpirlo. Hai già tradito la nostra fiducia più di una volta. Se ci deludi ancor-”, “Ho detto che lo faccio!”, aveva sussurrato Porcospino con una determinazione che non gli avevo mai sentito prima.
Acquattato nell’angolo più lontano del campo di battaglia, si era chinato e aveva estratto l’arma dalla sua borsa.
La voce del capo dei Malvagi riempiva l’aria. Non si fermava mai. Si insinuava nelle nostre teste e ci rubava i pensieri, la spensieratezza, i sogni.
Non la sopportavamo più.
All’improvviso, il silenzio. Quello era il segno. Lo era sempre stato: il chiaro inizio del loro attacco.
Ci stavamo avvicinando alla resa dei conti.
Gatto aveva distratto il nemico con il solito diversivo. Banale, ma funzionava sempre, almeno per qualche secondo.
Fu allora che Porcospino inserì il proiettile e prese la mira. La mano destra, ferma, teneva il tubo, la sinistra, vicina alla bocca.
Prese un lungo respiro. Soffiò.
La pallina di carta e sputo centrò il Malvagio nell’occhio sinistro.
Chinò la testa, sconfitto.
Poi un urlo implacabile riempì la stanza.
Porcospino iniziò a tremare. Eccolo, ora riconoscevo il solito sfigato che si meritava tutte le botte che gli davamo. Ma qualcosa di inedito era appena accaduto. Una nuova luce lo ammantava e lo incoronava, per sempre, eroe della nostra infanzia.
Porcospino aveva osato qualcosa che neanche Lupo sarebbe mai riuscito a fare, cancellando, una volta per tutte, anni di compiti non passati, di leccate di culo, di sfiga atomica.
“Locatelli!”. La voce del prof trapassava i muri. “Quello che hai fatto è gravissimo!”. Si passò una mano sull’occhio colpito. “Idea brillante, peraltro, concludere così l’anno scolastico con la tua situazione già per niente rosea”. Il suo tono ora era placido, ma feroce.
Porcospino tremava, ma non toglieva gli occhi da quelli del prof.
Allora non credevamo che non sarebbe nemmeno arrivato all’esame.
Non credevamo che il padre se la sarebbe presa al punto da farlo andare a vivere dai nonni. Correva voce gli avesse spaccato il labbro con una sberla appena fuori da scuola e che il sangue, copioso, gli fosse arrivato ai pantaloni.
Peccato non averlo più visto.
Nessuno di noi lo avrebbe mai più deriso.
Forse lo avremmo addirittura nominato capo, al posto di Lupo.