Sulla via del ritorno

Non li avevamo visti arrivare, forse avevano traslocato mentre eravamo al mare.
Al nostro ritorno avevamo trovato le valige zozze ammonticchiate sul pianerottolo, un seggiolino macchiato, le scale luride di impronte di terra. Nella porta avevano segato una gattaiola, lasciando una montagna di trucioli e un micio dal muso pesto che entrava e usciva miagolando rauco.
Da principio, avevamo altro per la testa. La macchina, la denuncia, l’assicurazione. Un incidente sulla via del ritorno dalle vacanze e tutto il riposo te lo dimentichi. Non ci eravamo fatti male, ma l’auto era proprio scassata: mica mi potevo presentare al lavoro con quel rottame.
La sera stavo guardando su Internet il mezzo che avrebbe ammazzato di invidia i miei colleghi, quando mi ero accorto della puzza.
«Ma che cazzo cucini? Che odore schifoso.»
«Mica siamo noi. Viene da quelli di fronte.»
«Che fogna. Vai a dirgli qualcosa.»
Laura era in poltrona, davanti alla TV. Aveva sollevato le spalle.
«Vacci tu, manco li conosco.»
Mi ero tappato il naso e mi ero ripromesso di dirgli qualcosa se li beccavo in ascensore.
La sera dopo anche peggio: ero entrato a casa e mi era venuta la nausea.
Laura era a tavola, con gli occhi sul tablet.
«Non si respira, qui dentro. Come fai a resistere?»
«Dopo un po’ lo senti meno» aveva detto, senza sollevare lo sguardo.
«Ma li hai incontrati?»
«Ho provato a sbirciare sul loro balcone, ma non hanno messo fuori niente. La tapparella è abbassata.»
Affondai il naso nella manica.
«Che cazzo, così non si può vivere.»
«Magari sono di quelli che si seppelliscono nella spazzatura.»
«E chi si chiama, in questi casi? La polizia? La Croce Rossa?»
«Boh. A proposito: ha telefonato l’avvocato. Dice che dobbiamo parlare della nostra versione dei fatti. Andiamo domani?»
Sbuffai.
«No, domani voglio andare a prendere la macchina nuova.»
Finalmente Laura sollevò gli occhi dallo schermo e sorrise.
«Vengo anche io!»
Fu allora che sentii qualcosa di freddo e umido sulla gamba. Sobbalzai per lo schifo: il loro gatto si stava strusciando sui miei pantaloni, lasciando una traccia viscida come fosse una lumaca. Chissà da dove era entrato.Gli tirai una pedata ma la schivò, fissandomi con occhi opachi. Si grattò un orecchio con la zampa posteriore e un ciuffo di pelo si staccò e finì sul tappeto.
«Questo è troppo.»
Andai di filato sul pianerottolo.Suonai, presi a calci la porta, li insultai in tutti i modi. Nessuna risposta.
Laura mi raggiunse e afferrò la maniglia.
«E’ aperto.»
Entrammo e solo la rabbia ci ha impedì di vomitare. L’aria era densa e umida, ci sfiorò un volo di mosche.
Qualcuno attendeva nella penombra.
«Ma che cazzo.»
La mia voce non era più tanto sicura. Laura mi stringeva il braccio e tremava.
Fecero un passo avanti, tutti quanti. Lui con la fronte schiacciata, lei con il collo piegato come un ramo spezzato. Chiusi gli occhi: il bambino non lo volevo vedere.
Forse era abbracciato al gatto, come nella foto pubblicata sul giornale, quella che avevano messo proprio sotto il titolo:
«Pirata della strada distrugge intera famiglia sulla via del ritorno dal mare.»