
Sesto classificato nella Scilla Bonfiglioli Edition, 147° All Time, un racconto di Mauro Lenzi.
Raccoglie le lenzuola al petto, a coprire la sua nudità. Anche così, la curva dei seni si intuisce tra le pieghe della seta, accentuata dalla magrezza delle sue membra. Schiude le labbra.
Il pugno e il crocifisso si frappongono tra noi.
«Vade retro!» grida il Professore.
Lei spalanca la bocca: i canini superiori bene in vista. Balza indietro, contro il muro.
Il Professore la costringe verso l’angolo della stanza. Solleva il paletto.
Un lampo di luce alle nostre spalle. Il ragazzo – come si chiama, Dodi? – alza lo smartphone.
Gli sorrido. «È venuta bene?»
Lui fa una smorfia. «Sì. Ma che cazzata.»
«Se lo dici tu.»
Lei è composta sul letto, con gli occhi sbarrati. Il paletto sporge dal suo torace, un filo di sangue cola nell’incavo dei seni.
Mi avvicino, le carezzo il volto. «Siamo sicuri che può sopportare tutto?»
Il Professore si infila un mignolo nel naso, esamina l’unghia.
«Ce l’ho da quattro anni e l’hanno sfondata e pestata in tutti i modi. Ed è sempre tornata come nuova, questa troia.»
La ragazza muove appena le pupille. Una lacrima rossa le scivola lungo la tempia e si perde tra la massa dei capelli scuri.
Le pulisco il volto con un dito. La pelle è diafana.
«Non sembra in gran forma.»
«È un casino trovarle sangue che le piaccia: risputa quasi tutto. A parte questo, non dà fastidio.»
«Soprattutto perché la lascia sempre con quel paletto nel cuore, immagino.»
«Ovvio…» porta la mano alla bocca, reprime un rutto. «Le sarebbe costato molto meno, se non avesse preteso che la impalettassi di nuovo.»
Annuisco. «Ma io volevo che il mio amico vedesse tutto.»
Dodi si sposta alle mie spalle e riprende la ragazza, a distanza.
«Potete contarci, pagliacci. Bella fica, però.»
Da dove sta puntando lo smartphone, non so se si riferisce alla ragazza nella sua interezza.
«Professore, è sicuro che non si possa muovere?»
«Certo che no.» Scuote il paletto. «Vede? Ma se si sente più tranquillo, le posso dare un seghetto.»
«Per…?»
«Segarle i canini. Non è mica il primo a preoccuparsi. Anche perché levati quelli, poi non rischia di lacerarselo quando… ha capito.»
«Eppure mi sembra di aver visto la pupilla muoversi. Guardi!»
Il Professore si china. Lo colpisco sotto la nuca col taglio della mano.
Crack.
Tasto la gamba nuda del professore. L’arteria femorale pulsa. «Stai riprendendo tutto, Dodi?»
Sbuffa. «Sì, sì, sì! Pensa ad andare avanti, che non ti sta venendo un gran bene.»
Mostro l’ago in fondo al tubicino di gomma. «Dimmi se questo ti sembra un effetto speciale.»
«Ma vaffanculo.»
Spingo l’ago, piano. Fora la pelle, scivola in profondità. Il rosso colora il tubo, fino all’estremità opposta, nella bocca della ragazza.
Guardo il professore negli occhi. È lucido.
Bene.
«Professore, lei per anni ha fatto stuprare e torturare questa ragazza.»
Sbatte le palpebre, già piene di lacrime.
«M… ostr…»
Gli passo la mano tra i capelli sporchi. «No, il mostro è lei, Professore. Ma la esorto a spendere quel poco che le resta da vivere per pentirsi di quel che ha fatto. È ancora in tempo.»
Carezzo la ragazza sul collo, scendo lungo la spalla. Si sta inturgidendo.
Fisso il mostro negli occhi finché il suo odio non cede il passo all’incoscienza.
«Vedo che non vuole capire. E francamente è quel che speravo. Addio, Professore.»
Impugno il paletto e lo sfilo via. La ragazza caccia un grido e salta a sedere sul letto. Il tubicino si sfila via dalla bocca, ripulito alla perfezione.
Lei si tocca le labbra.
«Grazie…» mormora lei. Allunga le braccia verso di me, mi sottraggo all’abbraccio.
Lei scuote la testa. «Non potrei farti del male neanche se lo volessi…»
«Lo so. Ma non voglio rovinare la vista al mio amico.»
Mi volto verso Dodi, gli strappo lo smartphone di mano.
«Ehi! Stron—»
Gli afferro la faccia, gliela giro verso la ragazza. «E piantala, guarda coi tuoi occhi, per una volta.» Il buco sul seno si sta richiudendo. Lo lascio andare.
Dodi mi mostra il medio. «I vampiri non esistono!»
«Oh, sì. Solo che per sopravvivere ai giorni nostri hanno dovuto fare un patto» indico il soffitto. «Migliorare il mondo. Questa ragazza cerca specie difficili da trovare. Assassini, stupratori…»
«Voi credete che ci caschi! Ma è tutto finto! Io lo so!»
Sorrido, e questa volta mostro i canini. «Invece io ho un genere molto più diffuso: gli idioti.»