Il piccolo Re

Oscura magia tra Torino e le sue valli in questo racconto di Maurizio Bertino, direttamente dal Laboratorio di Minuti Contati.

 
Rostagno posò la fotografia sul tavolo, contrariato.
«Non posso dire di essere soddisfatto, Barbero.» Disse fissando negli occhi l’uomo di fronte a sé.
Il vecchio montanaro ricambiò lo sguardo, ma non rispose.
«Voi eravate stato scelto con l’unico scopo di proteggere Pesenti e il fatto che siate tornato solo e per di più che abbiate perso l’uso della parola mi contraria molto.»
Barbero allargò le braccia, si indicò la bocca, coperta dalla lunga barba nera, e scosse il capo.
«Cos’avete visto di così spaventoso al borgo da farvi perdere la parola? Questa» e nel dirlo alzò la fotografia che stava studiando fino a un momento prima «non dice nulla. Troppo mossa, troppo buia. Cos’è questo? Sembra un occhio. E questa? Una zampa di animale? Forse un lupo? Un cane?»
Barbero assentì con il capo.
«Ma sembrerebbe attaccata a un arto umano…»
Barbero fece un gesto vago.
«Se fosse, potrebbe tornarmi utile. Ma mi servirebbe un resoconto, anche scritto. Avessi saputo che eravate analfabeta non avrei acconsentito al vostro ingaggio, ma Pesenti era convinto che voi foste l’uomo giusto e io, folle, ho accettato senza fare domande, fidandomi di quel pazzo incosciente. Ora mi siete completamente inutile!»
Il vecchio montanaro piemontese, che aveva accompagnato Pesenti in tutte le sue imprese, assentì mesto.
Rostagno si lasciò andare sullo schienale della sedia, le mani sulle tempie, quasi esasperato, e così rimase per lunghi istanti.
«Bene» si riscosse infine «proviamo a capirci qualcosa. Partiamo dall’inizio.»
 
«Lei è Feltrin?»
«Sono io.»
«Sono Pesenti dell’Ufficio Informazioni dello Stato Maggiore del Regio Esercito e lui è Barbero, la mia guida alpina.»
«Era ora.»
«Ci serve il suo aiuto, dobbiamo salire al borgo, scattare fotografie che comprovino quello che lei ha scritto nelle sue lettere, ci deve accompagnare.»
«Vi accompagnerò.»
«Bene. Ma mi permetta la curiosità: perché non ha più fatto ritorno a Torino? Lei è a conoscenza che a seguito di questa decisione ha compromesso la sua carriera militare?»
«Dovevo rimanere a guardia del presidio.»
«Scusi?»
«Loro sono lassù, vicini. Dovevo rimanere a guardia del presidio.»

 
Rostagno riprese in mano la fotografia e la guardò a lungo.
«Siete arrivati al confine senza problemi?» Barbero assentì. «Bene. E Feltrin? L’avete trovato al villaggio, quello sotto il borgo da lui definito maledetto nelle sue lettere? Ha accettato di accompagnarvi? Vi è apparso strano? Pazzo forse?»
Barbero assentì a ogni domanda.
«Feltrin era stato inviato con una squadra di uomini scelti per scoprire le cause dietro le morti di alcuni abitanti di quel borgo, attaccati da cani neri particolarmente feroci. Alla fine ci inviò il resoconto di una strage che aveva risparmiato lui solo, ma non fece mai ritorno. La vostra missione era di documentare con fotografie che mostrassero chiaramente quello che era accaduto. Di questo ne era conscio, Barbero?»
Barbero indicò la fotografia.
«Sì, infatti lei è riuscito a riportarci la macchina fotografica Pettazzi e di questo la ringrazio. Tuttavia rimane pressoché inutile, dato che ne abbiamo ricavato quest’unica foto. Ma continuiamo. Siete saliti al borgo e vi siete entrati subito?» Barbero negò. «No? Vi siete appostati al margine del bosco? Per quanto tempo? Barbero, mi ascolta?»
L’uomo stava fissando la finestra dell’ufficio, si riscosse e alzò l’indice della mano destra.
«Un giorno? Va bene. E com’è possibile che in tutto questo tempo Pesenti non abbia scattato neanche una fotografia?» Rostagno sembrava contrariato. «Nel borgo c’era qualcuno?»
Barbero scosse la testa con decisione.
«Nessuno? E Feltrin come reagì?» Barbero indicò il crocifisso sulla scrivania. «Cosa mi vuol dire? Chiesa? Cimitero?»
Il vecchio montanaro assentì con forza e si alzò in piedi mimando il gesto dello scavare.
«Feltrin scavava nel cimitero del borgo?» Barbero tornò a sedersi assentendo con il capo.
 
«C’erano. Li avevo disseppelliti io stesso. Le prime tre vittime erano qui, in questa terra ora vuota. C’erano. E adesso anche le tombe più antiche sono vuote. Tutti, si è preso tutti.»
«Questo in effetti è strano, un cimitero vuoto non l’avevo visto mai neanch’io, ma ora basta, Feltrin. Mi appare provato. Venga, beva un goccio, si disseti. E poi entriamo, andiamo a vedere se è rimasto qualcosa nel borgo. Sembra non esserci nessuno e neppure abbiamo incontrato i cani neri che descriveva nelle sue lettere. Barbero è già andato in avanscoperta.»
«Grazie, mi riempia questa ciotola e me la riporti. Berrò, ma voglio scavare ancora.»

 
La luce della lampada ebbe un sussulto, Rostagno si alzò in piedi e cominciò a camminare per lo studio. «Nelle sue lettere Feltrin accennava a corpi disseppelliti da lui stesso, quelli delle prime vittime, per capire se erano affetti da malattie infettive, però poi li ricollocò» disse fra sé. «Forse voleva effettuare nuovi controlli.»
Un rumore dalla finestra attirò la sua attenzione: un uccello, un corvo, gracchiava forte dall’esterno. Si avvicinò e batté sul vetro per farlo volare via, senza successo. Rifletté ancora e infine tornò a sedersi.
«Entraste nel borgo?» Domandò nuovamente a Barbero, che assentì. «E trovaste qualcuno?»
Il montanaro scosse la testa.
«No? Neanche dei corpi? No? Sangue? Assi divelte? Sì? Immagini di un assedio terminato con successo? Ma nessun corpo.»
S’interruppe. Aprì un cassetto del mobile alle sue spalle e ne estrasse un plico di lettere. «Lettere di Feltrin.» Spiegò.
Le posò sul tavolo, cominciò a passarle in rassegna, ne prese una.
«La scena si presentava come quella di un maniero assediato.» Lesse. «Un maniero che un piccolo Re dei tempi antichi intendeva riconquistare. O almeno questo mi raccontarono gli abitanti del borgo. Secondo le loro leggende, questo Re era venuto in possesso di un libro maledetto, il Libro del Comando, e in lui era germogliato l’interesse per le arti arcane. Adesso, a distanza di secoli, era tornato dall’aldilà alla guida di un esercito maledetto. Animali cuciti tra loro, uomini ad animali, cani, corvi, ratti. Una maledizione antica si era insediata in quel borgo sperduto, dimenticato, attaccato dallo spirito di un Re di cui pochi avevano conservato memoria.» S’interruppe ripiegando la lettera. «E va avanti così a descrivere di come alla fine il piccolo Re avesse riconquistato il suo maniero e di come avesse catturato anche lui e gli avesse fatto provare il terrore dello stare al suo fianco e infine l’avesse rifiutato, lasciandolo andare, lui solo, e si fosse tenuto tutti gli abitanti di quel borgo maledetto. Parole che pensavo di un pazzo, parole che spettava a voi confutare o meno» guardò Barbero, ma questo non batté ciglio. «Lei ha visto queste creature?»
Barbero negò, ma con poca convinzione.
«Non ha visto uomini e animali uniti insieme?» Barbero negò con decisione. «No? E cosa allora? Solo animali? Solo cani neri?»
Barbero assentì.
«Tabacco?» Gli offrì Rostagno.
Barbero scosse la testa.
«Va bene, riprendiamo. Entraste nel borgo e non trovaste nulla, giusto?» Barbero scosse il capo, sospirando. «Bene. Feltrin vi condusse alla Bottega del Pane, la taverna intorno alla quale la comunità intera si raccolse durante l’assedio?»
Il vecchio montanaro assentì chiudendo gli occhi, come a voler allontanare un brutto ricordo.
«Sì? Entraste e trovaste qualcosa? No? Corpi? Animali? Niente?» L’uomo scosse il capo, il suo respiro cominciava a farsi affannoso. «E poi accadde qualcosa, giusto? Arrivarono i cani neri?»
 
«Sono loro, sono venuti per noi.»
«Di cosa sta parlando Feltrin?»
«I cani, il suo esercito, il piccolo re.»
«Barbero! Fuori ci sono dei cani, sembra abbiano la rabbia, chiudi la porta, barricala. Io preparo la macchina per la fotografia, sbrigati!»
«Entreranno.»
«Sono solo cani Feltrin!»
«Entreranno.»

 
«I cani circondarono la Bottega del Pane? Sì? E voi vi barricaste? Fu in quell’occasione che Pesenti preparò la macchina per la fotografia, non è vero? E poi cosa successe? I cani attaccarono? Ma avevate barricato le porte, giusto? Ed entrarono ugualmente?»
 
«Ma come fanno? La porta sta per cedere! Feltrin, cosa sta facendo? Si muova! Prenda l’arma! Ma cosa fa? Cosa aspetta? Non stia lì seduto! Si dia da fare, per Dio! Barbero carica il fucile e tieniti pronto! Sono solo cani, solo cani!»
 
«E cosa successe? Attaccarono? Feltrin fu attaccato? Sopravvisse?»
Barbero accennò un no con il capo.
«E Pesenti? Continuò a manovrare la macchina mentre lo attaccavano? Che gli successe?»
Barbero indicò la Pettazzi e quindi se stesso.
 
«Barbero, la macchina! Prendila e scappa! Corri! La lastra è impressa! Devono vedere! Devono vedere tutti!»
 
«Le diede l’ordine di scappare con la macchina fotografica?» Barbero assentì con il capo, la testa affondata fra le mani «Sì? E lei lo eseguì senza battere ciglio? Lo lasciò morire dilaniato dai cani? Perché? Era suo amico, perché lo lasciò?»
Barbero rialzò la testa, si strinse nelle spalle e, come per giustificarsi, indicò la fotografia sul tavolo.
I due uomini si guardarono a lungo, in silenzio.
«Direi che la situazione è abbastanza chiara, adesso.» Riprese infine Rostagno. «La zona è infestata da un branco di cani neri affetti da rabbia. Trasmetterò le informazioni ai miei superiori e sarà predisposto al più presto un battaglione che verrà inviato per la bonifica del territorio.»
Barbero si rilassò sulla sedia.
«Le sue informazioni, alla fine, si sono rivelate molto utili e il sacrificio di Pesenti non sarà vano. Le follie di Feltrin sono smascherate, a parte alcuni particolari che oserei definire curiosi non ci sono elementi per pensare al soprannaturale. La porta della Bottega del Pane può aver ceduto perché mal tenuta. La fotografia con questo strano arto di animale può essere il risultato di un’errata durata dell’esposizione dovuta ai tempi accelerati dall’attacco dei cani. Si spiega tutto. Solo, non mi spiego come lei possa essere sopravvissuto, Barbero.» E nel dirlo si sporse in avanti verso di lui.
Barbero alzò le spalle, come a significare che non lo sapesse nemmeno lui, e sostenne lo sguardo di Rostagno.
«Ma probabilmente anche questo può essere spiegato con la rabbia che aveva contagiato i cani. Presi dal fervore del sangue di Feltrin e di Pesenti, l’hanno lasciata fuggire. Lei è un uomo fortunato, Barbero. Il Regio Esercito le è grato per il servizio, ma si vergogni per avere abbandonato così impunemente un amico alla mercé del suo destino.»
Il suono delle campane della città intonò la mezzanotte, il corvo continuava a gracchiare fuori dalla finestra.
«Direi che è tutto, la congedo. Vada a riposarsi, ne ha bisogno.»
I due uomini si alzarono e si diressero verso la porta dello studio. Sull’uscio si strinsero la mano.
«Un’ultima cosa, se mi permette.» Disse ancora Rostagno.
Barbero assentì con il capo.
«Ha visto, per caso, nella Bottega del Pane, il libro di cui le ho parlato, il Libro del Comando? Quello che Feltrin sosteneva essere appartenuto al piccolo Re? In una delle sue deliranti lettere scrisse di averlo ritrovato e poi abbandonato nel borgo quando era dovuto fuggire.»
Barbero lo guardò con aria interrogativa.
«Ah già, non sa leggere, come avrebbe potuto notarlo… Niente libro, dunque?»
Cenno negativo.
«Come immaginavo. Buonanotte Barbero.»
Si congedarono.
 
«Barbero, che fai? Mi hai sentito? Prendi la Pettazzi e scappa! Se riescono a entrare… Ma mi ascolti? Ho detto… Attento! Hai un ratto sul braccio! E quel corvo da dove spunta? Buon Dio, ma che succede? Eccoli che arrivano! Ma cosa sono? Non sono cani. Non sono cani! Ahhh!»
 
Uscito dal palazzo del Regio Esercito, Barbero si inoltrò in una via laterale. Un corvo venne a posarsi sulla sua spalla. Un ratto uscì dalla sua giacca. Un cane nero lo aspettava nell’ombra.
Portami, risuonò nella sua testa la voce che fin dal suo primo ingresso nel borgo aveva annullato il suo essere e l’aveva trasformato in un suddito.
Estrasse dalla tasca un libro, Libro del Comando scritto in rilievo sulla prima pagina. Lo aprì, erano disegnate istruzioni dettagliate su come cucire ratti, corvi, cani, uomini… Istruzioni su come creare un esercito di mostri a Torino e condurre il piccolo Re alla conquista del Regno.