
Una ragazza che non ama lo shopping incontra una ragazza che non gradisce andare a caccia di draghi: che fare? Primo classificato nel Capitolo del Camaleonte dedicato a Neil Gaiman, un racconto di Linda De Santi.
Scarlet aveva tredici anni ed era infelice. Non si trovava bene né con la sua famiglia, né con i suoi coetanei e neanche con la propria vita.
Le ragazze della sua età uscivano, andavano al cinema e a bere frullati nel fine settimana; lei invece odiava andare fuori e restava a casa a leggere libri fantasy, di nascosto perché a sua madre non piaceva il fatto che leggesse libri “che non parlavano della vita vera”.
Più di tutto, Scarlet odiava la scuola. A Guilford, nella sua città, andavano molto fieri del fatto che la Saint Catherine fosse tra le scuole più antiche d’Inghilterra. La prima volta che l’aveva vista, Scarlet era rimasta a bocca aperta davanti al magnifico edificio elisabettiano che sorgeva nella campagna vicino alla città, con guglie alte come quelle di un castello. Era rimasta terribilmente delusa quando aveva scoperto che, all’interno, era uguale a una qualsiasi scuola britannica, cioè orribile.
La Saint Catherine era diventata, per Scarlet, semplicemente l’ammasso di mattoni in cui era costretta a passare le ore peggiori della sua giornata. A lezioni mortalmente noiose seguivano pasti disgustosi a mensa, faticosi giri di campo nell’ora di educazione fisica e altre lezioni mortalmente noiose.
Il peggio, però, era sopportare Emily Clarke e le sue amiche. La chiamavano “la Squallida” e ogni giorno inventavano un modo nuovo per renderle la vita un inferno.
A volte Scarlet provava a infilarsi in uno dei corridoi della scuola per cercare un posto tranquillo in cui rifugiarsi, ma, per quanto fosse attenta a non farsi vedere, Greville, il bidello, arrivava sempre ad acciuffarla e rimetterla sulla retta via, ovvero il patibolo verso l’ora di scienze.
In breve, ad eccezione dei momenti che passava leggendo storie di cavalieri, dame e maghi, la vita di Scarlet era un autentico disastro.
Quel giorno stava andando a scuola, depressa come ogni mattina. Camminava piano perché non voleva arrivare troppo presto. Con un po’ di fortunata, Emily Clarke e le sue amiche sarebbero entrate in classe prima del suo arrivo e non l’avrebbero infastidita.
Non le vide in cortile; sollevata, attraversò il metal detector.
Greville le lanciò un’occhiataccia da dietro la tazza di caffè. Quel vecchio dalle mani callose e gli occhi di lucertola era il custode della scuola da tempo immemore, ma nessuno ricordava un solo momento in cui gli studenti gli fossero piaciuti. Era sempre stato il cane da guardia della Saint Catherine: con lui nei dintorni, nessuno studente avrebbe mai violato un divieto.
Svoltando nel corridoio, Scarlet trovò Emily Clarke. Sorseggiava un frullato al cioccolato mentre mostrava alla amiche un flacone che le sporgeva dalla tasca dei jeans.
«Così impara, quel vecchio imbecille, a dirmi di non usare il bagno dei professori!» le sentì dire.
Si mosse in fretta verso l’aula, augurandosi di non essere vista, ma ovviamente non poteva sperare di essere così fortunata. Emily si accorse di lei e sul suo volto si allargò un enorme sorriso.
«Guardate chi c’è! Ehi, Squallida, vieni qui!» esclamò.
Scarlet fece un sorrisetto idiota e scosse la testa. Si odiò, perché sapeva che era l’atteggiamento che la eccitava di più.
Le amiche di Emily Clarke scattarono verso di lei e le agguantarono braccia e gambe. Un istante dopo Scarlet era a terra, con i sederoni di Lizzie Wills e Martha Jones schiacciati sulla faccia e sulle gambe.
«Secondo me la tua gonna è troppo verde» disse Emily Clarke, camminandole intorno. «Sarebbe meglio se fosse marrone, vero ragazze?»
«Sì! Meglio marrone!» Risposero in coro.
Scarlet sentì qualcosa di freddo e viscoso caderle sui fianchi e capì che Emily Clarke le aveva rovesciato addosso il frullato al cioccolato.
«Adesso sì che va bene!» Sorrise Emily.
Le ragazze si sollevarono e si diressero verso l’aula, ridendo.
Scarlet rimase a terra finché non fu certa che le tre fossero entrate in classe. Dopodiché scattò in piedi e corse più veloce possibile lontano da lì.
Non sapeva neppure lei da che parte andare, così imboccò un corridoio a caso, giusto in tempo per vedere Greville dirigersi verso il bagno saltellando goffamente.
Continuò a correre. Quando si rese conto di trovarsi nell’area della scuola in cui era vietato andare, era troppo tardi. Alcuni suoi compagni di classe dicevano che nelle stanze proibite erano nascoste le salme degli studenti indisciplinati, ma Scarlett decise che, qualsiasi orrore si celasse nella zona vietata, sarebbe stato di gran lunga preferibile all’avere ancora a che fare con le sue compagne.
Vide una grossa porta in legno e ferro battuto, la spinse con forza ed entrò. Si trovò in una stanza stretta e polverosa.
Sulla parete opposta c’era uno specchio, grosso come la porta di una cattedrale. Scarlet si avvicinò, per verificare quanto disastroso fosse lo stato dei suoi vestiti. Con sua sorpresa, però, si accorse di non riuscire a vedere il suo riflesso nello specchio. Al di là della superficie vedeva un’altra stanza, più grande di quella in cui si trovava, con lunghe colonne di ossidiana che si levavano da un pavimento di onice nero. Sul soffitto della stanza riusciva a vedere il cielo stellato, ma non avrebbe saputo dire se fosse perché mancava il tetto o se qualcuno vi avesse imprigionato il bagliore di tante stelle.
Scarlett avvicinò il viso allo specchio.
Una voce disse: «Chi sei?»
Scarlet sussultò. Dall’altra parte dello specchio, una ragazza si sporse di lato, entrando nel suo campo visivo.
«Io… sono Scarlet» balbettò. «E tu?»
«Mi chiamo Rose» rispose la ragazza.
Era alta più o meno quanto lei, con lunghi capelli corvini, la pelle pallida e gli occhi di un colore indefinibile, screziati di grigio e viola. Indossava una tunica scura, dalle tasche sporgevano pergamene arrotolate. Doveva avere all’incirca la sua età.
«Che posto è quello?» chiese Scarlett.
«È la mia scuola» rispose Rose. «E quello?»
«Anche questa è la mia scuola. Anzi, una delle sue stanze proibite.»
«Come mai ti trovi lì?»
«Ecco, io…» Scarlet cercò una bugia credibile, ma non le venne in mente niente, così disse la verità. «Mi sto nascondendo.»
«Sul serio? Anche io mi sono nascosta. Anche tu stai scappando dalla lezione di scienze con le salamandre?»
«Non esattamente» abbassò lo sguardo. «Emily Clarke e le sue amiche.»
Rose assunse un’aria comprensiva. «Capisco. Anch’io ho problemi con le mie compagne di classe.»
«Non è solo Emily Clarke» ammise Scarlet. «La verità è che tutta la mia vita è un disastro. Un immenso, unico disastro. Odio la scuola, odio i miei compagni, odio fare quello che fa la gente normale.»
«Ti capisco» sospirò Rose. «Penso lo stesso della mia vita. Vedi, io non sono come le altre ragazze. Non esco nelle notti di luna piena, non vado a caccia di draghi e odio creare pozioni magiche. Tutto ciò che vorrei è fare shopping nei negozi e andare al cinema nei fine settimana. Un po’ come in un fantasy, hai presente?»
Scarlet la fissò. «Stai scherzando? È esattamente il contrario del…»
«Sssssh» fece Rose. «Sento qualcosa.»
La ragazza assunse un’aria seria e tirò fuori uno stiletto dalla tasca.
«Ehm, ti hanno permesso di portare quello dentro la scuola?»
«È naturale. Non si sa mai cosa si annida nelle aule.»
«Ah… bene.»
«Fai silenzio.»
Scarlet tese l’orecchio verso lo specchio. Inizialmente non sentì nulla, poi le sembrò di udire un suono simile a un sibilo. In quell’istante, qualcosa strisciò fuori da dietro una colonna. Era avvolta da un’aura luminosa e agitava nell’aria tentacoli evanescenti. Uno di essi scattò veloce e si avvinghiò alla caviglia di Rose, che urlò, lasciando cadere lo stiletto.
Scarlet agì d’impulso: saltò al di là dello specchio, raccolse il coltellino dal pavimento e lo conficcò con forza nel tentacolo. La lama affondò in qualcosa di duro, nonostante il mostro sembrasse fatto di fumo. Il tentacolo lasciò la caviglia di Rose; la ragazza tirò fuori un’ampolla dalla tasca e gliela lanciò contro, provocando una piccola esplosione. La creatura lanciò un grido acuto e stridulo, come quello di un pavone.
Quando il fumo si diradò, di lei era rimasta solo una poltiglia scura e sanguinolenta.
«Vedi cosa intendo? Ci sono cose così in ogni angolo! Odio questa scuola!» Esclamò Rose. «A proposito… grazie.»
Scarlet si sentiva in preda a una sorta di estasi, mentre assaporava un piacere mai provato prima. Aveva ferito il mostro e insieme a Rose l’aveva sconfitto. Si rese conto di aver vissuto un’avventura, e per la prima volta in vita sua era assolutamente certa di una cosa: voleva viverne altre.
Rifletté. Se fosse tornata dall’altra parte, avrebbe dovuto affrontare l’ira di Greville e gli scherni dei suoi compagni, senza contare che i suoi genitori l’avrebbero di sicuro punita per aver saltato la lezione. E in ogni caso, sarebbe rimasta per sempre la Squallida.
“Non potrei restare qua?” chiese. «Credo che mi troverei meglio.»
Rose ci pensò su. «Credo sia possibile.»
«Allora fammi restare» implorò Scarlet.
Rose sorrise. «Solo se mi permetti di andare dall’altra parte.»
Scarlet guardò lo specchio: dall’altra parte si vedeva la stanza angusta che aveva lasciato. «È tutta tua» disse.
«Chiudi gli occhi» disse Rose.
Scarlet lo fece. Quando li riaprì, si trovò davanti al proprio viso sorridente.
«Ecco fatto» disse Rose. «Buona fortuna.»
«Anche a te» rispose Scarlet.
Rose oltrepassò lo specchio. Dall’altra parte salutò agitando la mano in aria, poi lasciò la stanza.
Per qualche istante Scarlet non si mosse e rimase ad ammirare i suoi nuovi capelli corvini e la bella veste di velluto scuro. Poi uscì anche lei. Fuori, una scala di pietra conduceva alle aule della scuola; in basso poteva sentire le voci degli studenti.
Prima di iniziare a scendere, Scarlet si sporse da una finestra e ammirò il panorama. Davanti ai suoi occhi si estendevano verdi prati solcati da draghi; all’orizzonte lampi e fulmini saettavano sulla vetta di una montagna; nel cortile della scuola uno studente cercava di catturare un grosso coniglio con il becco di un corvo; creature incappucciate entravano dentro a una cappella adiacente alla scuola.
Era il giorno più felice della sua vita.
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