
In un mondo senza ideali, qualunque potere ha un solo scopo. Settimo classificato nella IGNORANZA EROICA EDITION, un racconto di Eleonora Rossetti.
Capolinea, bastardo.
Lui me lo legge in faccia quando raggiungo il tetto balzando dalla scala antincendio. Finalmente soli, nell’acquazzone. Niente sbirri né legge, nessuna via di fuga: solo io e lui, ultimo duello, scontro finale.
È disarmato. Lo sono anch’io, altrimenti non sarebbe fico. A che servono pistole e fucili, quando sei un animalìa?
Diavolo, quanto calza ‘sto nome sballato. Anomalia animalesca. Siamo la violenza fatta uomo. Siamo nati pronti. E lo sono anche adesso.
La prima mossa è sua. Il calcio rotante solca l’aria; i miei sensi supersviluppati percepiscono la vibrazione delle molecole, il movimento che diventa quasi un fischio.
È veloce, cazzo. Ma io sono come lui, e per un animalìa anche il milionesimo di secondo è un’eternità.
Inarco la schiena, piego il collo all’indietro e contraggo lo spazio-tempo attorno a me. Ciò che mi circonda nell’arco di pochi metri rallenta, ubbidiente al nuovo ritmo scandito dalla mia volontà. La punta dello scarpone militare mi manca la guancia di un soffio, in un lento arco che poi accelera di colpo sventagliando la pioggia.
Mi torco in un equilibrio quasi impossibile, come se l’aria stessa diventasse un liquido denso in cui vorticare, e con una mezza giravolta mi metto in guardia. Occhi esterni, ignoranti, ci leggerebbero una coreografia perfetta, studiata nel dettaglio.
Ma cosa può capire il mondo, di ciò che siamo? Di ciò che sono?
Conosco bene l’uomo che mi fronteggia. La mia nemesi, direbbero in tanti. Cerco di ignorare che sia solo un mio simile. Uno che ha fatto una scelta, proprio come me. L’unica, per un animalìa, in questo mondo e in questi tempi.
“Fatti sotto!” mi istiga.
“Hai dimenticato di dire ‘cacasotto’!”
Pessima battuta, la mia, ma ottimo diversivo. Diretto e gancio, rapida successione a mento e setto nasale. Un uomo normale sarebbe crollato.
Non un animalìa, però.
Lo sgambetto che mi rifila mi fa cozzare di schiena contro le crepe del pavimento. Lui alza il piede per frantumarmi lo sterno col calcagno. Rotolo sul fianco, lascio che calpesti le piastrelle, gli afferro la gamba e lo sbilancio. Gli sono subito a cavalcioni e lo investo con una gragnola di pugni, al ritmo di quattro al secondo. Roba che per identificarlo dovranno riconoscerlo dal DNA.
Ma lui incassa bene, nonostante sia una maschera di sangue. Con un ringhio tra i denti snudati, mi attira a sé per il bavero e mi sferra una testata così violenta da spezzarmi il labbro. Cado di schianto in una pozzanghera, frastornato, e subito una mano m’agguanta la trachea. Non vedo quasi nulla, mi dimeno alla cieca e senza fiato, finché un lampo non illumina una sagoma spinosa alle sue spalle.
L’antenna. Un cactus d’acciaio.
Rannicchio le gambe, scalcio, e dopo uno schiocco viscido la pioggia m’insozza di calore rosso.
I suoi spasmi continuano a lungo. Le spine di metallo sporgono da diversi lati del suo corpo. L’ho impalato in una posizione così grottesca che sembra uno spaventapasseri impazzito in balia del vento.
Mi rialzo, dolorante, una smorfia a metà tra il provato e il vittorioso.
Forse è finita davvero…
«STOP! Ok, stavolta è buona! Forza, si gira il controcampo! Rimettete a posto tutto, e andate a raddrizzare quell’antenna! Ragazzi, datevi una sistemata e cambiatevi gli abiti, si riprende tra dieci minuti!»
«Ehi Du-kke… unna manno…?»
Luci abbaglianti del set, la pioggia s’arresta di botto. Davanti a me Alan, con almeno sette rami d’antenna che gli spuntano dai posti più impensabili, tenta di parlare a fatica, con la lingua ridotta a un unicorno. Diavolo, non poteva chiudere la bocca? Ora dovrò ricordarmi con esattezza dove e come l’ho lanciato…
«Non sce la fascio da sciolo…» biascica.
Ah, giusto.
Lo afferro per il colletto e lo disincaglio. Lui barcolla e sputa una parolaccia assieme al sangue, mentre attiva i suoi poteri di guarigione.
Come dargli torto? L’immortalità sa essere una stronzissima arma a doppio taglio.
«Non poteva chiudere ‘sta scena con un calcio nelle palle?» mi sussurra non appena ha riacquistato dignità fisica.
Non rispondo e mi appoggio contro il parapetto, concentrandomi per guarire. Il labbro spaccato smette di pulsare, il sangue si riassorbe. Quasi di riflesso, mi trovo a origliare i pensieri di Alan – non ci pagano abbastanza! dovremmo cercare un altro ruolo! – e sorrido nel sentire le stesse parole che ho pensato anche io, tanto tempo fa. Quando ho fatto la mia scelta.
Siamo animalìe. E quindi? Certo, potrei usare i miei poteri diversamente, ma per far cosa?
Per proteggere questa manica di smidollati da loro stessi? Che ci guadagno?
Per dominarli? Sul serio? Questi bifolchi? E se li sterminassi, sai che noia.
Meglio questo, invece. Se una cosa sai farla bene, mai farla gratis.
Basta con trucchetti di slow motion, costosissimi effetti digitali, coreografie e stuntmen. Qui si bada alle spese, perciò nessuno si fa domande pur di risparmiare. E noi due siamo i migliori su piazza.
Non è più il tempo degli eroi, solo di un altro ciak.