
Un po’ di sale può aiutare a tenersi il posto in questo racconto di Davide Di Tullio, direttamente dal LABORATORIO di Minuti Contati.
«Non posso fargli ‘sto torto, Peppe». Seduto a gambe larghe Lino lo andava ripetendo da un po’.
«Sono più anziano di lui. Il ruolo di caposala spetta a me!» Peppe si batté l’indice sul petto.
Lino strinse gli occhi bovini, alzó la manona e chiese la parola. «Il ragazzo ci sa fare. Lo vedi come parla coi clienti? Ha fascino da vendere»
«Sei Il titolare o una capra? Ci vuole esperienza per gestire una sala, altroché!»
Lino lo zittí con un movimento della mano.
Peppe scostó la tendina dalla porta a vetri.«Ma guardalo, ‘sto vanitoso. Si muove come un femminiello». Serró i denti, lisciando con le dita il pizzetto impomatato.
Ciro si affacció dalla sala, impartendo ordini alla cucina: «Una caprese, due carbonare e un quartino di rosso della casa, please»
«Parla pure le lingue, il poliglotta», Peppe roteó la mano.
«Booono, Peppino», muggì Lino, che si sventolava con un tovagliolo di carta.
In sala Ciro allargava i menù a una coppia di americani.«Yes madame… of course madame».
Peppe scosse la testa, ma quello: tip-tap, tip-tap. Ciro saltellava sul pavimento lucido di cera che sembrava una pattinatrice. «Le capresi diventano dueeee», canticchió al cuoco, facendogli il segno con le dita ossute.
«Vorrebbe fare il maître de salle, ‘sto bifolco! Dice che ha girato il mondo, il burino: Roma, Parigi, New York… Per me non è stato manco a Cerignola». Dopo trent’anni di onorato servizio, devo cedere il passo a un giovane allampanato e per giunta un po’ naïf. Ma figuriamoci! Ho servito una cacio e pepe alla Regina d’Inghilterra, io, mica alla signora Maria.
«Lino, ma hai visto che ascelle pezzate c’ha lo spilungone?»
L’altro si alzò sulle braccia, scuotendo il ventre che pareva un immenso budino. Arrancò fino allo porta a vetri e vi aderì il faccione unto. «Ma insomma, Peppe, è un forno lì fuori e il ragazzo trotta come un ossesso. Non è mica che non si fa la doccia», borbottó col fiatone, tornandosene a sedere.
Peppe aggrottó la fronte e indossó la giacca d’ordinanza. Si sfiló le scarpe, e le ripose nel suo armadietto, dal quale tiró fuori un paio di mocassini neri che calzó. Profumavano di nuovo. L’orologio da parete segnava le 12.25. Tra cinque minuti avrebbe attaccato a lavorare.
Lino, seduto spalle alla porta, si era messo a guardare in TV la réclame degli orologi, e c’aveva una faccia da sonno.
«Lino, esco a sistemare le saliere».
Il titolare annuì, distratto.
Peppe tornò a piazzarsi sulla porta a vetri.
«Lino, ‘sto zotico c’ha pure le suole consumate», ammiccó. Nemmeno il tempo di rispondere, che un trambusto si sentì provenire dai tavoli.
«Madonna benedetta!» Lino caracollò in sala sbandando sulle sue zampe da pollo.
Di là Ciro era disteso, muso a terra, tra i resti di una carbonara. «Ohi-ohi! Mi sono rotto una gamba!», frignava, sollevatosi alla bell’e meglio.
Lino si voltó verso Peppe. «Che hai fatto, sciagurato!»
«Io? Ho solo portato del sale sui tavoli, ma deve essermene caduto un po’ sul pavimento…»
«Questo è il secondo cameriere che si azzoppa ‘sto mese». Lino si passó la mano sul volto.
«Te l’ho detto che quello c’aveva le suole lisce?»
«E allora?»
«Un maître de salle che si rispetti lo sa che con la suola liscia sul pavimento fresco di cera si rischia»
Lino scrollò la testa.
Peppe alzó le spalle e bussò sulla schiena del titolare che si era inginocchiato su Ciro.
«Allora, domani faccio il turno del pranzo?» Indicó le suole: di gomma, scanalate. Una tenuta perfetta.
L’altro deglutí, ma non rispose.
«Ti ricordi che c’abbiamo il ricevimento dei cinquanta? Ti porto un paio di aiutanti che ci sanno fare». Peppe si toccó il dorso della mano.
Lino sbuffó, gonfiando le guance da pesce palla. «Allora alle 10.00… e ora puoi rimettere le scarpe nuove nella scatola!»