Frammenti

Direttamente dal LABORATORIO di Minuti Contati, un racconto di Luca Pagnini.

 
La luce del tardo pomeriggio riempiva la stanza dalla finestra alle spalle della ragazza. Gli oggetti attorno sembravano emanare un’energia propria, come se la stanza fosse viva e in ascolto.
«E come si è sentita?»
La voce era al solito cristallina e rassicurante. Sorprese Elisa, come se un attimo di disattenzione l’avesse proiettata lontano dallo studio. Assorta in pensieri non pensati, da quando aveva terminato la sua ultima frase era passato troppo poco tempo.
«Come, scusi?»
«Le chiedevo, cos’ha provato?»
«Provato?»
«Sì, cos’ha sentito, quale emozione descriverebbe come prevalente in quel momento?»
Elisa faticava a rientrare nella conversazione, le succedeva spesso durante le sedute. Con uno sforzo che le sembrò immane, richiamò alla mente quanto aveva appena raccontato: Federico che rientra a casa prima del previsto, lei che chiude il portatile mentre lui entra in camera, lui che vuole vedere con chi chatta, le sue urla sconnesse, lei che piange, lui che se ne va sbattendo la porta. Sospirò.
«Non lo so… paura?»
«Me lo deve dire lei.»
«Sì, paura.»
«Per la sua incolumità, paura di essere abbandonata, per la sicurezza di qualcun altro… Che tipo di paura?»
Un brivido. Elisa sentì un brivido alla parola abbandonata. Strano.
«Fino a un minuto fa avrei certamente risposto che era paura di essere ferita fisicamente, ma adesso…»
«Adesso?»
«Credo fosse paura di essere abbandonata.»
«È qualcosa che ha già vissuto in precedenza?»
Il cerchio si stava stringendo. Prese aria e cercò di rilassare i muscoli delle spalle come le aveva insegnato il maestro di yoga. C’era un pericolo dietro quelle domande, lo percepiva. Non voleva soffrire di nuovo. Doveva stare attenta alle risposte, molto più attenta.
«Forse sì.»
«E dove si trovava?»
«Al mare.»
«Con chi era?»
«La mia famiglia.»
«Continui, cosa successe?»
«Avrò avuto 12 o 13 anni. Mio fratello disse ai nostri genitori che quella sera sarebbe uscito con una tipa milanese conosciuta in spiaggia. Loro acconsentirono subito. In fondo mio fratello aveva 17 anni, era quasi maggiorenne… E poi a mio padre faceva piacere, le conquiste di mio fratello erano una specie di conferma per la sua virilità, di mio padre intendo.»
«Come mai le viene in mente questa corrispondenza?»
«Quale corrispondenza?»
«Tra la virilità di suo padre e suo fratello.»
Elisa si morse il labbro inferiore. Rammentò quei giorni, gli sguardi, i sussurri… Mentì.
«Non lo so.»
«Va bene, continui.»
«Beh… mio fratello uscì e io piansi tutta la sera.»
Ecco, ci era cascata. Attese, sperò, ma la voce fu puntuale.
«E provò la stessa paura di essere abbandonata?»
Per un attimo restò in bilico, poteva di nuovo scappare, deviare, perfino tacere. Invece parlò.
«Sì. Ero furiosa.»
«Perché?»
«Perché non doveva uscire con quella, non doveva abbandonarmi.»
«Capisco.»
Il silenzio si fece pesante, ma Elisa tacque. Adesso ricordava perfettamente quella gelosia.
«Bene, per oggi possiamo concludere, ci vediamo la prossima settimana.
«Grazie, dottore.»
Finalmente il diaframma si distese.
Con calma si alzarono, lui la accompagnò fino alla porta. Si strinsero la mano.
«Mi scusi ma deve essermi sfuggito, come si chiama suo fratello?»
Un altro attimo, un sospiro, un morsetto al labbro inferiore. Lo sguardo le si accese, poi si abbassò.
«Federico.»