
«Fiori di carta» – Imaginary, Evanescence
Le luci al neon tremolavano come impazzite. Il dottore corrugò la fronte, gli occhi che gli si incrociavano. La ragazza gli sedeva dinnanzi, la fronte a pochi millimetri dal tavolo. I lunghi capelli scuri ricadevano a cascata sul freddo metallo. Le spalle si alzavano e si abbassavano ad un ritmo regolare, come se dormisse.
«Angela?»
Una distesa infinita di acciaio e silenzio sembrava separarli. Decise di riprovare. «Angela? Sei sveglia?»
La risata della ragazza si diffuse leggera nella stanza come un miagolio. Molto lentamente, alzò la testa e guardò il dottore. «Sono sempre sveglia, dottore.»
Lo sguardo di lei lo incatenò al suo viso. Come una calamita attira un magnete, la paziente attirava il suo dottore. Lui diede un colpo di tosse per costringersi a consultare gli appunti che aveva sottomano.
«Gli inservienti mi dicono che la notte non dormi, che parli da sola fissando il soffitto. Perché?»
Angela sorrise. Le sue labbra lo incendiarono dallo stomaco fino al cervello.
«Perché penso. E quando penso, mi piace farlo a voce alta.»
Il tremolio delle luci al neon si fece più intenso. Lui si accorse di essere sudato. Il camice si era appiccicato alle ascelle. Le dita tremarono mentre annotava la risposta sul foglio. Prese un fazzoletto di stoffa dalla tasca destra del camice e si tamponò la fronte.
«Ha caldo, dottore?» la voce di lei echeggiò armoniosa nella stanza. Lui si sistemò il colletto della camicia che lo stava impiccando.
«Sei molto acuta, Angela.»
Alzò di poco lo sguardo che incontrò il nero opaco dei capelli di lei. Erano raccolti in numerose ciocche scheletriche adagiate sul tavolo. Le punte dipingevano l’acciaio con aloni di olio.
«Che ne dici se oggi facessimo la nostra seduta in un luogo diverso?» la sua voce si abbassò. «Non sopporto di vedere i tuoi capelli ridotti così.»
Angela osservò incuriosita i propri capelli, come se si rendesse conto per la prima volta di averli attaccati alla testa. Poi guardò il dottore e le sue labbra si aprirono in un sorriso innocente. «Certo, dottore. Io adoro i luoghi diversi.»
L’acqua scorreva tranquilla. Il dottore mise la mano sotto il getto come a chiedere il permesso. Era tiepida.
«Angela, vieni. Ci laviamo i capelli.»
La ragazza alzò lo sguardo verso di lui. «Certo, dottore.»
Come una bambina che muove i primi passi, gli andò incontro. Lui prese una sedia e batté piano le dita sulla seduta. Angela si accomodò tenendo lo sguardo fisso su di lui, spalle al lavandino.
«Allora, il salone offre solo lo shampoo senza profumo purtroppo. Però c’è scritto che combatte la forfora e capelli grassi. Ci accontenteremo.»
Angela rise, lo stesso miagolio che qualche istante prima era risuonato nella stanza delle sedute.
«Ora piega la testa all’indietro. Ti sciacquerò i capelli e poi inizierò a lavarteli.» gli occhi del dottore erano allacciati ai suoi, tenuti stretti da un’invisibile catena.
Con tutta la calma possibile, Angela reclinò la testa fino a toccare il lavandino con le prime vertebre della schiena. Emise un dolce gemito e rabbrividì. «È freddo, dottore.»
Lui socchiuse gli occhi e le posò una mano sulla fronte. La ragazza emise un altro gemito.
«Vedrai che tra un attimo sentirai caldo.» Si fissarono a lungo e il tempo parve farsi da parte per non disturbarli.
Il dottore iniziò a bagnare i capelli di Angela. Le passava l’acqua sulla nuca come se la stesse accarezzando. Ogni volta che la mano toccava la sua testa, Angela chiudeva gli occhi e gli regalava un sorriso. Il dottore percorse la lunghezza dei capelli fino alle punte, con gesti delicati. Li toccava come se stesse maneggiando dei fili di cristallo. Quando furono abbastanza bagnati, chiuse il rubinetto e le versò dello shampoo sulla nuca. Angela scoppiò in una risata acuta che soffocò con entrambe le mani. Lui si fermò subito. «Che succede, Angela?»
Lei si osservò le mani rigirandole piano, flettendo ogni singolo dito. «È freddo, dottore.»
Una goccia cadde dal lavandino.
«Perdonami.» Aprì l’acqua calda al massimo. Aspettò qualche istante e poi mise le mani sotto il getto bollente. Il calore aggredì la sua pelle, le dita divennero rosse mentre del fumo si levava sinuoso. Strinse i denti. Chiuse l’acqua calda e pose le mani sulla testa di Angela. «Va meglio?» mormorò lui con voce profonda.
Un altro gemito. «Certo, dottore.»
«Allora quando pensi, pensi ad alta voce.»
Angela si prese del tempo prima di rispondere. «Sì, dottore.»
«A cosa pensi?»
«Al mondo.»
«È dura pensare al mondo ad alta voce?»
Una piccola risata. «No, rende il tutto più facile.»
Lui continuava a lavarle i capelli, le mani che le esploravano la nuca. «Io non potrei mai pensare a qualcosa di così complicato come il mondo.»
Angela inclinò la testa verso di lui. «Io non penso a questo mondo. Penso al mio.»
Si toccò la tempia destra con il suo magro dito. «Fiori di carta.»
Il dottore corrugò la fronte. «Fiori di carta?»
Angela annuì con fare comprensivo, come se stesse istruendo un bambino. «È l’inizio della mia canzone preferita.»
I capelli erano quasi del tutto puliti. Al posto dell’unto, un intenso nero corvino illuminava il bagno. Angela chiuse gli occhi e sospirò. «Ognuno ha bisogno di un proprio mondo fatto di fiori di carta.»
Il dottore studiò i lineamenti rilassati, le palpebre serrate con le lunghe ciglia che tremavano come le luci al neon. Il petto di lei si alzava e si abbassava con regolarità. Il mondo di fiori di carta si manifesta anche con il respiro.
Angela aprì gli occhi e dischiuse timidamente la bocca. «Ho freddo alla testa, dottore.»
Lui si riscosse. Prese l’asciugamano rosso sotto il lavandino e iniziò a tamponarle i capelli, le sue mani avvolgevano la testa di lei con movimenti circolari.
«Anche lei dovrebbe pensare ad alta voce al suo mondo. Forse nel suo non ci sono i fiori di carta, ma qualcos’altro. Mi sono sempre chiesta cosa si trovi nel mondo di un dottore.»
L’asciugamano aveva assorbito la maggior parte dell’acqua. Lui lo aprì per raccogliere quella bellissima massa corvina, lo rigirò per liberare le punte dalle ultime gocce e infine sistemò l’estremità sulla spalla sinistra di Angela. Poi osservò la sua opera. Gli occhi scuri della ragazza, l’asciugamano rosso che si distingueva così tanto dal viso pallido.
Prese Angela per mano e si concesse il tempo di vagare nel suo sguardo magnetico. «Hai ragione, Angela» le strinse la mano, inginocchiandosi di fronte a lei. «Nel mio mondo non ci sono i fiori di carta.»
La luce della luna entrava in punta di piedi dalla finestra. Angela giaceva sul letto a pancia in su. «È ancora qui, dottore.»
Lui accavallò la gambe. «Sì, sono ancora qui Angela.»
«Perché?.»
«Perché sono il tuo dottore.»
Lo sguardo acceso di Angela non gli lasciava scampo. «Non ha qualcuno che l’aspetta a casa? Un cane? Un gatto? Un figlio?» un attimo di silenzio. «Una moglie?» Lui si raddrizzò sulla sedia. «No, Angela, nessuno mi aspetta. Non ho mai avuto né animali né figli.»
La ragazza si mise sui gomiti per guardarlo meglio. «Ma c’era qualcuno a casa con lei.»
Lui guardò fuori dalla finestra e un sorriso tirato gli apparve in volto. «Avevo una moglie.»
Angela ora stava seduta, spalle contro il muro. «Mi parli di lei, dottore.»
Lui si passò una mano tra i capelli e incrociò le gambe dall’altro lato. «Facciamo così: io ti racconto di mia moglie, tu mi racconti dei fiori di carta.»
Angela rimase impassibile, il viso di un pallido magnetico sotto i raggi bianchi della luna. «Va bene, dottore.» Si distese di nuovo a pancia in su e chiuse gli occhi. «Ma incominci lei.»
Lui sfruttò il fatto di non avere gli occhi di lei addosso e si concesse un altro lieve sorriso. «Tu me la ricordi molto.» Il respiro di Angela era regolare.
«Ci siamo sposati giovani, troppo giovani forse. E mi sono goduto molto poco il nostro matrimonio.» Congiunse le mani e si osservò le nocche. «Ci sono malattie mentali, ma anche fisiche.» Angela aprì gli occhi e lo guardò in tralice. Gli occhi di lui scintillavano umidi alla luce della luna.
«Lei pensa che io sia pazza, vero dottore?» Lui la fissò e, per la prima volta, fu lui a penetrarla con il suo sguardo.
«Non è il termine che userei. L’ho sempre trovato privo di significato. La gente comune usa la parola pazza per qualsiasi cosa. La maggior parte delle volte sbaglia e quei pochi che riconoscono la pazzia è perché ne hanno avuto un assaggio da vicino.»
Lei sbatté le palpebre, il volto cadaverico.
«Non sei pazza, Angela. Solo, non ti comporti come la società si aspetta.»
Lei piegò la testa da un lato «Cioè come?»
«Beh, non ci si aspetta che le persone parlino ad alta voce del loro mondo immaginario.»
Un inserviente passò in corridoio con un carrello.
«Lei vuole sapere dei fiori di carta.» Angela si mise di nuovo a sedere con la schiena al muro. «Glielo spiegherò, direi che se l’è guadagnato.» Lui si sporse in avanti, verso di lei.
«Sono emozioni, dottore. Emozioni mie e di altre care persone che ho conosciuto negli anni. Vede, ho un problema di sensibilità, sento troppo le sofferenze degli altri. Così, per non impazzire» si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio «le disegno nella mia mente sotto forma di fiori di carta.»
Una nuvola si intromise offuscando i raggi lunari.
«Anche il suo dolore per sua moglie diventerà un fiore.» La nuvola passò.
Il dottore si alzò dalla sedia. Si avvicinò ad Angela e si specchiò nei suoi occhi. Per un attimo, gli sembrò di vedere un fiore di carta aleggiare nelle pupille di lei. Angela gli si fece vicino.
«A volte do un colore ai fiori. Che colore vuole che dia al suo dolore? Al suo amore?» Lui non si trattenne oltre. Le prese il viso tra le mani e le si avvicinò ancora. I loro sospiri si sincronizzarono, lunghi e profondi. Il dottore chiuse gli occhi e la baciò. Le sue mani accarezzavano le guance di Angela, mentre lei schiudeva la bocca per lui. Il tempo divenne relativo.
Con calma, lui si sciolse dal bacio e passò le dita tra i capelli di lei, sistemando una ciocca dietro l’altro orecchio.
«Nero.» Angela aveva gli occhi umidi.
«Voglio che li colori di nero, come i tuoi capelli. Come i capelli di mia moglie.»