
Una principessa da salvare, una strega da affrontare, un eroe impavido… Ma non tutto è ciò che sembra in questo racconto di Sara Todde, selezionato nel Laboratorio di Minuti Contati.
Sta arrivando.
La muraglia di rovi, prima linea difensiva, mi avvisa immediatamente come un sussurro tra un orecchio e l’altro, interrompendo la mia concentrazione. Con gli artigli raccolgo una manciata di ossa dal calderone e le getto nel braciere, da cui si leva uno sbuffo di fumo rosso. L’occhio della magia si perde nel disegno delle ossa e delle volute di fumo, e vedo chiaramente il visitatore in arrivo. Un giovanotto dall’armatura scintillante si fa strada nel bosco di rovi con la spada. L’ennesimo, ardimentoso cavaliere errante, in cerca della misteriosa Talia, la principessa dormiente, prigioniera della strega millenaria. Sospiro, osservando il cipiglio battagliero del ragazzo: speravo in una distrazione, ma dovrò rassegnarmi alla noia di una vittoria rapida. Cosa pensa di fare questo povero idiota che non ha avuto nemmeno il buon senso di indossare un elmo?
Finché non noto lo stemma sul suo petto –il giglio insanguinato dei Vantelmo–, il colore rosso dei suoi capelli, il naso aquilino. E sorrido. Ci sarà da divertirsi.
Taglio una ciocca di capelli per gettarla nel fuoco, e una nuova vampata di fumo rosso disegna la muraglia di rovi che si ritrae davanti al cavaliere, guidandolo attraverso un labirinto altrimenti letale, verso la sua meta: il castello. Soffio tra le fiamme, e semino illusioni e trappole sulla sua strada mentre si aggira nei corridoi. Lingue di saetta esplodono dal soffitto, evitandolo per un soffio, serpenti di fuoco gli sbarrano il cammino. E lui li fa a pezzi con la spada. La voce di Talia riecheggia nelle fredde sale, chiamando aiuto, guidandolo verso l’alta torre centrale.
«Resistete, principessa, sto arrivando!» esclama il cavaliere. Nella luce folle dei suoi occhi, fiamme d’azzurro nel volto paonazzo, leggo la fede nella sua missione: pensa di essere il prescelto, colui che libererà la principessa e sconfiggerà la strega. Il cavaliere non mi teme, ed è così sicuro di sé che in qualunque momento potrei far cadere una pietra dal soffitto e sfracellare sui tappeti ammuffiti quell’inutile testa scoperta, porre fine alla farsa in un battito di ciglia – ma non lo farò, perché sta venendo ad affrontarmi, ed è questo che voglio. Voglio che arrivi dove soltanto un altro prima di lui si è spinto.
Voglio che l’ultimo erede dei Vantelmo affronti la strega millenaria.
Non ho bisogno dell’occhio della magia per sapere del suo arrivo imminente: il clangore della sua armatura riecheggia nei corridoi di pietra, su per la lunga scala tortuosa che conduce all’alta torre centrale. Mi volto verso la porta appena prima che questa si schianti a terra con un tonfo sordo, e il cavaliere irrompe nella stanza con la spada sguainata. La sua fronte volitiva prende una curva di sorpresa, finché i suoi occhi non si poggiano sulle ossa che scricchiolano sotto i calzari della sua armatura. Le ossa che ricoprono l’intero pavimento, che si ammucchiano negli angoli, che ribollono di una schiuma densa nel calderone. Il viso del cavaliere perde ogni colore. La spada vacilla nelle sue mani.
Ora il cavaliere mi teme.
Un tremito gonfia il mio petto, diventa un crepitio gorgogliante, irrefrenabile, una risata beffarda, e insieme al mio fiato, dalle mie labbra sgorga un fumo rosso e denso che avvolge il cavaliere, lo paralizza. È troppo tardi perché lui possa scappare. Ed è troppo presto perché io lo uccida.
Voglio che sappia esattamente perché deve temermi. Voglio che veda la verità, voglio che sappia che cosa è successo a tutti quelli che hanno osato sfidare la strega millenaria prima di lui.
Mi avvicino al ragazzo tremante, e il fumo lo avvinghia, costringendolo a guardarmi. Il suo sguardo sconvolto cade sul medaglione al mio collo –il medaglione di Talia– e i suoi occhi si riempiono di lacrime. Ora sì, ora capisce, lo leggo nei suoi singhiozzi, nel mento tremante come quello di un bimbo troppo cresciuto.
Ora sa che non c’è nessuna Talia, nessuna principessa da salvare, e non c’è più stata ormai da centinaia d’anni. Da quando un altro cavaliere dei Vantelmo affrontò la strega, combattendo con ferocia e astuzia, e riuscì a ridurla in fin di vita. Da quando un antenato di questo povero sventurato idiota decise che violare il corpo della principessa dormiente fosse la giusta ricompensa per l’impresa compiuta. Con l’ultimo alito di magia che le restava, la strega spezzò la maledizione e donò alla principessa i suoi poteri – e per la prima volta, Talia evocò il fuoco, uccise il cavaliere, bevve il suo sangue, spolpò la carne dalle sue ossa. Il potere che palpitava in lei si nutrì di quel sacrificio, rendendola più forte, svelandole nuovi incantesimi. A migliaia vennero dopo il primo, a migliaia caddero come falene di carta, alimentando la sua fame e il suo potere, finché le ossa non ricoprirono il pavimento, finché della furia e della vendetta, della strega e della principessa non rimase più nulla.
Tranne me.
Con un artiglio affilato apro un taglio sottile sul mio collo, e il mio sangue diventa fuoco. Un grido esplode dalla gola del cavaliere stretto nella mia presa, ed è questo che voglio. Ora sa perché deve temermi. Sa chi sono. Ma non vivrà abbastanza da raccontarlo: la mia leggenda andrà avanti, attirando altri coraggiosi idioti nella mia trappola, altre falene da spolpare per sfamare la mia magia.
Sono Talia, la principessa risvegliata. Sono la strega millenaria. Sono l’ultima cosa che vedrà prima dell’Inferno.