
Una stessa nazione, realtà diverse a confronto, un solo possibile risultato: l’incomprensione. Il racconto di Ambra Stancampiano vincitore della SPECIAL: NEW ARENA EDITION.
Quando ero bambino mio padre mi ha mostrato come ammazzare i conigli: con un colpo di bastone forte, preciso, in mezzo alle orecchie.
«Così non soffrono» mi disse «e la carne resta morbida. Prova tu.»
Avevamo la conigliera più grande di Mezzojuso; la gente veniva a comprarli, i nostri conigli, anche dai paesi vicini. Spesso mi chiedevano di donargli la grazia di quel colpo in testa, prima di portarli sulle loro tavole.
Ero bravo, ma mi rifiutavo di uccidere i più piccoli. Loro erano come me, anche se da bambino ero già un gigante.
Poi c’è stata l’epidemia e sono morti tutti; siamo diventati poveri, sono partito per poter mangiare. Come tanti altri.
Dicono che siamo tutti fratelli qui, che da quando la guerra è finita siamo tutti uguali. Ma io non mi sento uguale alla gente di Torino, non parliamo neanche la stessa lingua. Mi guardano dall’alto in basso, mi trattano come uno scemo anche se lavoro bene, con fatica. Mi prendono in giro in questa loro lingua strana, tutta piena di U, finchè non mi arrabbio. Allora gli faccio paura.
Ma io non sono cattivo, e non so come mi sono ritrovato in mezzo a tutto questo; mi fidavo dei miei compagni, della gente del mio paese.
Noi sappiamo farci gli affari nostri, se quella donna si fosse fatta i suoi non sarebbe finita così.
Invece lei ha riconosciuto Pietro, e anche se era legata e le puntavamo contro le pistole non si è saputa trattenere: ha detto il suo nome.
C’erano undici persone nella cascina quella sera, stavano festeggiando qualcosa. L’hanno sentita tutti.
Me li hanno portati davanti uno a uno, io tenevo il bastone. Li ho colpiti come fossero conigli. I conigli però non si lamentano, non sanno cosa gli sta per succedere.
Con l’ultimo non ce l’ho fatta. Era troppo piccolo.
Ciccio, che vive qui da anni, lo ha chiuso a chiave in una stanza. Gianni ha buttato i corpi dentro un pozzo mentre Pietro, che conosceva la casa, ha frugato ovunque per cercare i soldi.
Poi siamo scappati, è passato del tempo, non credevamo che ci avrebbero presi.
Ora invece siamo qui, in questo posto grigio e triste con le sbarre alle finestre; come se non bastasse la nebbia ogni mattina a succhiarti via tutta la felicità.
La guardia ci ha appena dato la notizia, sembrava quasi contenta; sorrideva, sotto quei suoi baffetti: siamo stati messi a morte, e saremo gli ultimi a morire così.
Stanno facendo una cosa che si chiama Repubblica, che dopo di noi non ucciderà più nessuno.
Ho steso un lenzuolo per terra nella mia cella, mi sono sdraiato e me ne sono messo un altro addosso.
Sto piangendo la mia morte, nessun altro lo farà.
NDA
Questo racconto, sebbene in maniera fantasiosa, è ispirato alla strage di Villarbasse. Nel 1945 quattro banditi Siciliani rapinarono una cascina a Villarbasse, in provincia di Torino, ed uccisero tutti i presenti perchè una donna aveva riconosciuto il basista.
I colpevoli furono gli ultimi condannati a morte della nascente Repubblica Italiana.
Qui la storia https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Villarbasse
Qui un interessante articolo di G. Bocca a riguardo http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/03/04/pena-di-morte-quell-ultima-volta-nell.html
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