
La vecchia cancellata è socchiusa: saranno passati da lì? Afferro le sbarre e strattono: niente. I palmi doloranti sono rossi di ruggine.
Restituiscimi i miei bambini, casa maledetta.
Mi scruta dalla sua facciata alta e stretta. Le persiane marce chiuse, tranne un battente spalancato, proprio sotto il solaio dal tetto aguzzo. Con la porta finestra rotta del piano inferiore, ricorda l’Urlo di quel quadro…
L’Urlo che fa l’occhiolino. Si fa beffe di me.
I vicini mi aiuteranno, ne sono certo.
«Perché non chiama la Polizia?» gracchia il citofono.
Stringo il mio cappello. «Signore, non possono farci niente, senza nessuno che li abbia visti entrare. Forse lei ha notat»
«E dica che li ha visti lei, no?»
Clak! Ha riattaccato.
Il palazzo di fronte alla casa maledetta ha tutte le finestre chiuse. Tranne una, al primo piano, ornata di rose: in mezzo a quella cornice sorride una vecchina. Muove le labbra e piega il capo e destra e a sinistra, con delicatezza. Mento aguzzo e pelle liscia, un po’ bambola e un po’ strega. La vecchina dei fiori parla sempre da sola.
«Può aiutarmi a ritrovare i miei bambini?» Indico alle mie spalle. «Credo siano entrati là.»
Torna dentro.
Tiro su col naso. Un cigolio, in strada. Mi volto. Il cassonetto dell’indifferenziata è semiaperto: ci scruta dentro una figura macilenta, coi capelli leccati all’indietro, che si muove a scatti. Il matto del pattume alza la testa e fissa un punto dietro di me: il portone del palazzo. La vecchina è lì, con una corona di rose sulla chioma candida. Ci fa un sorriso.
Va bene, andiamo.
Il vecchio muto si avvicina a passo strascicato e appoggia il pancione alla cancellata rugginosa. Gesticola, indica la casa maledetta. «Mm-mhu-uh!» strilla. La vecchina continua nel suo chiacchiericcio. Il matto controlla il bidone all’angolo e ci raggiunge col suo passo svelto.
Di tutto il vicinato, solo loro tre sono venuti ad aiutarmi. I pazzi non giudicano.
Un quieto mormorio: la vecchina ha posato le mani su una delle colonne che sostengono il cancello.
Era sempre stato lì, quel roseto?
Gli spessi viticci si avvinghiano tra pietra e metallo. Mi avvolgo la sciarpa in una mano, nell’altra userò il cappello.
«Aiutatemi a salire.»
Il matto del pattume percorre il cortile con ampie falcate: è già ai piedi della casa. Qualcuno grida in strada.
Chiameranno il custode, devo sbrigarmi.
Il matto ha trovato una porta finestra. Infiliamo le dita nell’infisso: uno schiocco e la porta si spalanca. Dentro, un salone in penombra. Tanfo di muffa e di animale morto. Muovo qualche passo, accompagnato dallo sbriciolarsi delle piastrelle.
Forse questa casa maledetta mi ammazzerà così, cederà e mi seppellirà prima che io ritrovi i miei piccoli.
«Siete qui, bimbi?»
Da fuori, il mugolio allarmato del muto. Mi avvicino a una persiana e spingo. Cigola, si apre uno spiraglio. Dalla cancellata, un uomo grande e grosso guarda dentro. Deve essere il custode. Il battente cede e cade nel cortile con uno schianto. L’uomo mi vede, spalanca il cancello.
Sono perduto.
I miei amici devono essere fuggiti in tempo.
L’omone mi prende per il braccio e fa un cenno a un signore del palazzo di fronte. «Ora ci penso io, grazie.»
Mi fermo a guardare la casa maledetta. È suggestiva, devo riconoscerlo.
Lui mi tira, con delicatezza. «Su, andiamo.»
«Ai miei bambini piaceva questa casa.»
«Lo so, me lo ricordo, papà.» Sospira. «Si può sapere cosa volevi fare?»
«Mi annoiavo, tutto qua.»
Camminiamo, in silenzio.
«E ti ricordi la vecchina dei fiori, Leo? E il matto che si girava tutti i bidoni, e…»
Sorride. «Sì. Che quartiere di pazzi.» Si ferma davanti a una berlina, apre la portiera.
«Leo… pensi che sia pazzo anch’io?»
«Perché dovrei…» Mi abbraccia. Quant’è diventato alto, il mio ragazzo. «No papà. Sei solo triste, da quando la mamma se n’è andata.»
«Eh, povera donna.»
«Mica tanto. Oggi è a Manhattan.»
Faccio spallucce. Me la immaginavo a struggersi dal rimpianto, invece mi sa di no.
Leo mette in moto. «Perché non vieni a stare da noi?»
«Ah? E che dice Mafalda?»
«Marlene. È d’accordo: ora che ha ricominciato col lavoro, potresti aiutarci coi bambini. E farebbe bene anche a te.»
«Oh sì! Quante storie racconterei! Ho sempre avuto fantasia, lo sai.»
«Sì che lo so, papà. Ma magari non diciamole di questa tua avventura, eh?»
Ripassiamo davanti alla casa maledetta. I miei tre amici sono lì, mi salutano. Leo non li ha visti.
Il muto alza il pollice. «Mhm-mmhh?»
Sì, amici miei, grazie: ho ritrovato i miei piccoli.