L’Arcano

Che siano scacchi o tarocchi, l’uomo gioca con la Morte fin dal suo primo vagito di vita. Un racconto di Alberto Della Rossa.

 
«Gira la carta.»
Lo guardava, seduta compostamente sulla panchina di pietra. Non fosse stato per la veste nera e tarlata che a stento copriva gli spigoli vivi delle membra ossute, si sarebbe potuto dire addirittura che la Morte sedesse con grazia ed eleganza del tutto femminile.
Alfio non poteva smettere di fissare quel volto in continuo mutamento, sul quale si susseguivano senza sosta mille e mille volti ancora. Osservava la media aritmetica dei lineamenti di tutti coloro che l’avevano incontrata e si chiedeva se le facce che di tanto in tanto gli sembrava di riconoscere fossero quelle dei suoi amici già trapassati o semplicemente fisionomie comuni, ripetute nello spazio e nel tempo dell’umanità.
 
«Ho detto, gira la carta.»
Si destò dalle proprie elucubrazioni. La Morte offriva un mazzo di carte aperto a ventaglio. Tarocchi dall’aria vetusta e dai bordi sgualciti, dal dorso dipinto a mano.
Alfio strizzò gli occhi e si accarezzò i baffi bianchi macchiati di nicotina. Cercò la pipa nella tasca del pigiama di flanella. Era ancora lì, al suo posto, il fornello caricato di tabacco fresco.
«Hai da accendere?» chiese.
La Morte chiuse di scatto il mazzo.
«Si» rispose spazientita «poi possiamo procedere?»
Il vecchio sorrise con aria sorniona.
«Non si può certo negare un’ultima pipata. È risaputo.»
Con un gesto della mano ossuta, un minuscolo fuoco fatuo svolazzò per posarsi sul tabacco, accendendolo di brace vermiglia.
L’aroma di vaniglia si diffuse per il giardino.
«E dimmi» riprese Alfio «mi viene offerta una seconda chance, basta estrarre l’Arcano corretto?»
«Precisamente. Ma fai in fretta, non posso attendere in eterno.»
Alfio scoppiò in una risata.
«Strano, avrei detto che il tempo alla Morte non manca.»
Le carte si aprirono nuovamente tra le mani incartapecorite. Alfio fece per pescare una carta, sfiorandone i bordi.
«E chi mi dice che le carte non sono segnate? Non mi sembrano in buono stato.»
Se possibile, i mille volti sgranarono gli occhi. La Nera Signora emise un gemito d’esasperazione.
«Peschi questa dannata carta o no? Sei tu che me l’hai chiesto!»
«Ah! Non te l’ho chiesto. Abbiamo fatto un patto, e tu hai accettato.»
«Ricordo, ricordo. Avevo delle necessità, tu avevi una soluzione. E ora sono qua a ripagare il debito, se mi concedi la grazia di scegliere. Quindi, per cortesia, scegli il tuo arcano e chiudiamo questa pantomima.»
Alfio estrasse dal taschino la cipolla. Guardò il quadrante, fermo sull’ora della sua morte.
«Che sia passata un’ora dal mio decesso?»
La Morte gettò il mazzo a terra e si rizzò in piedi, furibonda.
«Si, un’ora è passata, anche due. Ma la mia pazienza e finita.»
Agguantò la falce, sollevandola sopra il capo.
Alfio non sorrideva più, il corpo diafano che si dissolveva in fumo.
«Dove fuggi? Il patto!» urlò, mordendo con la lama uno sbuffo di fumo.
Sulla panchina, sotto lo sguardo della Morte, l’Arcano del Mago, nuovo di zecca.

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