L’invincibile e lo straniero

Uno scacco matto inaspettato in questo racconto di Alessandra Corrà selezionato nel Laboratorio.

 
«Da queste parti si dice che te la cavi piuttosto bene al gioco, o sbaglio?» dissi fermandomi davanti al tavolo a cui era seduto il miglior giocatore di scacchi del circolo XI, luogo frequentato da chi, senza tanti sforzi, voleva far soldi.
Lui, che in quel momento stava accarezzando la scacchiera, alzò gli occhi nella mia direzione, pur senza guardarmi davvero.
«Non sbagli; basta dire che negli ultimi anni non ho mai perso una volta.»
«Per questo ti chiamano “Invincibile”?»
«La sai lunga, ragazzo. Non ti ho mai visto, di dove sei?»
Per mio conto avevo già detto abbastanza; così, senza esitare, gettai sul tavolo un mucchietto di banconote.
«Se mi batti, questo sarà tuo.»
Era un bel gruzzolo, il fatto che fossi uno sconosciuto avrebbe dovuto farlo esitare, ma la sua avidità era una leggenda ancor più popolare della presunta bravura.
«Beh, se proprio ci tieni tanto, accetto la sfida» disse senza smentire la mia attesa. «Però, sarò anch’io generoso: mi sei simpatico, quindi in caso di vittoria ti darò il doppio di ciò che hai appena puntato.»
Mostrai un sorriso stravagante, che solo un attento osservatore avrebbe potuto interpretare come segno di scherno.
Intanto, nella sala si era fatto silenzio; somme così non venivano puntate sovente.
Iniziò la nostra partita e dopo nemmeno un’ora, durante la quale l’invincibile mi aveva più volte braccato ostentando fiero sarcasmo, con gran sorpresa generale, dichiarai lo scaccomatto.
Non poteva essere che un disonore per lui perdere, per di più contro un ragazzo sconosciuto, eppure nessuno dei presenti lo vide batter ciglio; anzi, con la sua solita spavalderia, alzando le spalle, disse: «Un caso, è stata solo fortuna; giovanotto, fossi in te non gongolerei troppo. Anche perché, se sei d’accordo, ti chiedo la rivincita.»
Accolsi la sua proposta con entusiasmo e ridendoci sopra vinsi ancora, lasciando il mio avversario a dir poco turbato.
Qualcosa doveva essergli sfuggito di mano quella sera, ma cosa? Non aveva dimostrato per anni di essere il più forte, ineguagliabile?
L’uomo, mantenendo la solita postura altera, continuò così a giocare una partita dopo l’altra.
E, in men che non si dica, l’avevo ripulito di tutti i suoi beni: il conto in banca, la casa, la macchina, i terreni e la barca a vela.
«Ormai non ho davvero più nulla» disse a notte inoltrata, pieno di sconforto.
Entrambi però sapevamo che stava mentendo.
«Ne sei proprio sicuro? Pensaci bene.»
«Non ho familiari a cui chiedere denaro, ho solo una figlia. Vive con la mamma, io e mia moglie ci siamo separati diversi anni fa e loro non si può dire che vivano nel lusso. Mi capita di vederle talmente poco. La mia ex moglie non vuole che mi avvicini a loro. Che gli avrò mai fatto? Ah, che vergogna, chissà Annina cosa dirà quando saprà che il suo babbo… Così giovane e bella…»
Dicono che ogni cosa arriva a suo tempo, basta aver pazienza. E io, è vero, ci avevo messo anni, ma finalmente la vendetta stava per arrivare.
«Vedi che ancora una cosa ce l’hai? Puoi giocarti tua figlia. Perché no? Ho sentito dire che sia anche davvero bella come dici. Se perderai dovrai convincerla a diventare la mia amante; in caso contrario, ti renderò tutti i beni persi.»
La mia proposta, assurda per qualsiasi genitore, a un uomo della sua risma non dovette sembrare poi tanto paradossale.
Subodorando che in caso di vittoria avrebbe potuto riconquistare i suoi beni preziosi gli sembrò una fortuna avere ancora una figlia da giocarsi.
Gli avventori del circolo, invece, erano strabiliati e increduli.
Ma chi è questo straniero? Da dove viene? Dall’inferno, forse? Possibile nessuno l’abbia mai visto? Così giovane, ma tanto astuto e abile.
Bisbigliavano sconcertati, ma l’invincibile doveva provare così tanta stanchezza da non riuscire più a prestare attenzione a nessuno.
In fondo, chi poteva arrogarsi il diritto di impedirgli di fare quello che sentiva? Di certo riconosceva la sconvenienza del tutto ma, in caso non avesse accettato, che ne sarebbe stato di lui? Non aveva più nulla, era un uomo finito. Fu così che, con voce stentata, diede il suo consenso.
Alcuni dei presenti, a quel punto, iniziarono a fischiare, altri se ne andarono borbottando imprecazioni e i pochi rimasti ci pregarono di chiudere quella sporca faccenda prima che fosse troppo tardi.
Ciò nonostante, la partita finale ebbe inizio.
In quest’ultima disputa ogni mossa veniva vagliata da entrambi con estrema ponderazione, così solo dopo diverse ore dichiarai l’ennesimo scaccomatto.
L’invincibile, che invincibile non era più, per la prima volta sbiancò in volto e, buttato via l’orgoglio, con le mani che gli tremavano, implorò clemenza.
«Riconosco che sei il migliore, ma ti prego risparmia almeno mia figlia che con questa storia in fondo non c’entra niente.»
Impaziente mi alzai allora dalla sedia e, ridendo di gusto, mi tolsi la barba posticcia, gli occhiali, i baffi, la parrucca e le folte sopracciglia; poi, con la mia vera voce che avevo fino ad allora contraffatto,esclamai:
«Mai che tu abbia capito qualcosa. Troppo preso dalla tua vita, circondato dallo sfarzo e fingendo che fosse la mamma ad allontanarti da noi… La mamma, invece, ha sacrificato la sua vita per tirarmi su come meglio poteva, mentre tu… Ma, alla fine, la tua scuola è stata ancora più preziosa, perché la costanza con cui ti ho osservato mi ha resa ciò che stasera hai appena visto, caro papà.»