Lo stesso sangue

“Eresia!”
Per la seconda volta il verdetto di Imoth tuonò nella Cattedrale, e il boia lasciò andare la catena.
Fra le urla della folla, Elektra precipitò verso la Pozza poi, con uno schiocco, la catena si bloccò di nuovo e un dolore lancinante le trapassò le caviglie.
Adesso era vicina. Le punte dei capelli fradici, toccavano la superficie della Pozza e l’odore di sangue che esalava dall’enorme vasca le riempiva le narici.
Il sangue di quelli che l’avevano seguita, sangue ribelle.
Elektra torse il collo e scrutò i popolani oltre la fila dei monaci radunati in cerchio intorno alla vasca.
Un brusio costante si levava dalle file di facce sporche.
Erano eccitati per l’esecuzione e la odiavano per tutti i soprusi che gli aveva inflitto in nome dei Supremi.
Cercò fra le facce capovolte finché li trovò, vicini a una colonna. Bran con la faccia rigata dalle lacrime teneva in braccio Nathaniel, loro figlio, che con una manina in bocca e l’altra puntata verso l’alto indicava gli specchi sui muri della Cattedrale.
Erano loro che l’ avevano liberata dal suo rango di Sacerdotessa suprema. Avevano rotto il muro che le impediva di provare emozioni e adesso capiva. Capiva il loro amore così come l’odio della folla che aveva vessato innumerevoli volte.
In fondo alla cattedrale, Imoth sedeva sul trono che svettava sopra l’altare. La faccia coperta da una maschera d’ebano e il corpo interamente avvolto da fasce di seta bianca. Carezzava la testa di Belivel, l’enorme gatto sacro accovacciato accanto allo scranno.
L’immagine del Supremo giudice si rifletteva negli specchi che coprivano le pareti e si moltiplicava, innumerevoli volte. Invadeva le menti degli uomini e delle donne stipati nella Cattedrale, convinti ancora una volta di trovarsi di fronte a un dio.
Elektra iniziò a mormorare l’incantesimo fissando Belivel. Non aveva speranza con Imoth, lo sapeva, ma la mente di un animale era molto più semplice da controllare.
ImothAlzò un braccio e la folla ammutolì.
“Secondo la legge, hai un’ultima possibilità. Rinnega la tua eresia, Elektra o annegherai nel sangue”
Elektra urlò rivolta alla folla “Non sono Dei, sono umani! I Supremi, sono come noi…”
Le parole che le avrebbero costato la vita si persero tra le insulti della folla.
Ma le parole erano inutili, loro avevano bisogno di prove.
Fissò Belivel e urlò l’incantesimo con tutta la forza che le era rimasta.
Il corpo muscoloso del gatto si tese e il lungo pelo grigio si rizzò. La bestia saltò sullo scranno di pietra e si scagliò contro il petto di Imoth. I grossi artigli affilati stracciarono il tessuto e il Giudice Supremo urlò quando raggiunsero la carne.
“Uccidetela!” gridò Imoth scalciando con tutta la forza che aveva per allontanare Belivel.
Il boia esitò.
Guardava in alto, verso gli specchi che riflettevano l’immagine di un uomo curvo e ansimante con il petto secco e incavato.
Le bende di seta stracciate che ancora lo coprivano si stavano tingendo di sangue.
Era rosso, uguale a quello di tutti gli altri.