
«Ehi Bepi, com’è andata ieri in ospedale?»
Bepi ridacchia e si allaccia il grembiule. «Benon, tutto in ordine.»
«Ah, son contento. Dai, prepari tu questi qui?» Berto gli passa una vaschetta con due lepri già spellate: due gneurs, come si dice dalle sue parti. Sono per la signora Fabris, per il pranzo di Pasqua.
Bepi ne prende una, la stende sul banco da lavoro con le zampette aperte e prepara il coltellaccio.
Rita è stesa sul lettino con gli occhi fissi sullo schermo, Bepi le tiene la mano per confortarla ma trema tutto anche lui. Il dottore si chiama Buda ed è simpatico come il gelato al gusto di broccolo: sono già alcuni minuti che fa scorrere quella specie di microfono sulla pancia di Rita senza dire una parola, poi fa clic clic con quel suo mouse vecchio come una playlist su floppy disk senza che sul display compaia nulla.
Rita lo fissa con occhi lucidi, lui le sorride per confortarla, ma il cuore gli batte forte.
Bepi apre le costole della carcassa e vede il fegatino, i polmoni e il piccolo cuore. Con le frattaglie del gneur qualcuno prepara la peverada, una salsa a base di aceto che puzza come acquaragia. La vecchia Fabris ha detto di volerla fare, quindi le servono gli organi intatti. Un paio di colpi netti sul legno del tavolo e i pezzettini di carne si staccano come niente. Sono proprio piccoli…
Finalmente dalle casse del computer si sente un vago pulsare ritmico, come una lamina metallica che sbatte su una tavola di legno. Non è chissacché, ma Rita si porta una mano alla bocca tutta emozionata. Anche Bepi ha le lacrime agli occhi: ecco il cuore del loro bambino. Il dottor Buda clicca ancora con quel mouse decrepito e lo schermo mostra qualche macchia grigia che sembra una lotta tra una tempesta di sabbia e un artista astratto che ha finito i colori, la sua voce pare quella di un sonnambulo: «Questa è la sezione del cranio.»
Le orecchie del gneur vanno eliminate perché non si conservano bene: carne troppo sottile. Bepi le taglia via come fossero burro al sole. La bestia lo fissa con un occhio vitreo, da pesce, ricoperto di sangue rappreso. Bepi tira su col naso e stringe i denti. Passa la mano sul fianco della carcassa: vuole pulirla, o semplicemente accarezzarla? Povero gneur…
Merda, ma che gli sta succedendo?
«Il feto è nella norma.» Il Buda toglie il microfono dalla pancia di Rita. «Adesso vi scrivo il referto e potete andare.»
Rita lo guarda con occhi rossi dal pianto. «Scusi, posso sentire ancora il cuoricino?»
«L’avevamo già sentito, ma vabbè.»
Smanetta col pc e le rimette il microfono sulla pancia per qualche istante: di nuovo i battiti metallici.
Bepi, dentro di sé, manda in mona quel medicastro.
Rita è contenta, si riveste con calma e chiede. «Scusi, come dimensioni, adesso quanto è grande?»
«Bah, come un piccolo coniglio, o un leprotto.»
«Bepi pensa, tuo figlio è come un piccolo gneur!»
Bepi butta il coltellaccio da parte, appoggia le mani sul tavolo e prende un respiro profondo: l’odore della carne macellata gli riempie i polmoni. Porca miseria, se solo avesse immaginato cosa avrebbe significato avere quelle immagini nebbiose in testa per tutto il giorno, e poi rimettersi a lavorare con quei corpicini da fare a pezzi…
Berto gli si avvicina. «Oi, Bepi, dut ben?»
Lui si schiarisce la gola. Alza gli occhi e fissa il banco di Berto, dove c’è un maialino da latte con la boccuccia aperta, i suoi occhi vitrei gli chiudono lo stomaco.
«Scusa Berto, la roba per la Fabris la finisci tu? Non c’è mica altro che posso fare? Scusa, ma oggi mi fa male il braccio.» Flette il gomito, come se gli dolesse.
Berto fa spallucce. «Ah bon, allora vai pure a spiumare le oche!»
Bepi annuisce e se ne va.
Per oggi se la cava così, ma sa che da ora in poi i colpi metallici del coltellaccio batteranno sempre all’unisono con quel piccolo cuoricino. Non è una buona idea cambiare lavoro con un bambino in arrivo, ma sa che macellare ancora quei piccoli corpicini indifesi gli è diventata una cosa impossibile da fare.