Profumo di gelsomino

Devo scendere per prendere aria, fermo la macchina. Selene mi lancia un’occhiata torva dal sedile del passeggero. Fanculo, ne ho abbastanza dei suoi tredici anni.
Sbatto la portiera, mi allontano e mi appoggio al muretto di una casa.
La luna splende e una fredda brezza mi accarezza sotto il bavero del cappotto.
Mi volto, Selene guarda in basso e aspetta silenziosa. Piange. Come darle torto?
Sono suo padre: dovrei confortarla, essere un sostegno per lei, ma l’unica cosa che riesco a fare è appoggiarmi a questo cazzo di muretto.
Dov’è sua madre quando serve? Lei è l’unica che riesce a farci parlare, solo con lei riesco a trovare le parole giuste quando mi fa arrabbiare.
I suoi tredici anni mi stanno logorando. Sta crescendo, diventando la donna che affronterà il mondo a modo suo e sapere che dovrò lasciarla fare senza interferire mi riempie di terrore: è avventata, orgogliosa, testona. Siamo troppo uguali, testardi tutti e due: duri come asini.
Dovrei tornare a parlarle, ma mi sento adeguato come uno di quegli stupidi zaini da campeggio in cui bisogna infilare un sacco a pelo grosso il doppio.
Respiro col cuore che mi batte nelle orecchie, il profumo mi arriva alle narici. Gelsomino. Viene da un cespuglio sul muretto, i fiori bianchi e sottili illuminati dalla luna paiono stelle su un cielo verticale. Accarezzo uno di quei petali e mi tornano alla mente ricordi lontani che avevo dimenticato.
 
Ero solo un bamboccio, stavo tornando da una festa disastrosa in cui avevo passato il tempo a correre dietro a quella smorfiosetta, come si chiamava?
Tornavo indietro in bici pestando i pedali come un diavolo. C’era un silenzio da fare paura, anche i grilli si rifiutavano di stare svegli. Con la sola lucetta del fanalino della bici l’universo finiva cinquanta centimetri più avanti e solo la memoria poteva illuminarmi il cammino. E così mi ero perso.
All’improvviso, ecco il bagliore di un lampione che mi indicava un’isola di luce in cui approdare per un momento: un piccolo cono di sicurezza in mezzo a quell’ignoto.
Mi fermai per abbracciare il fusto di metallo e lasciarmi cullare dal calore della luce.
Fu così che sentii un dolce profumo di gelsomino che veniva da oltre una staccionata di legno. Il giardino lo conoscevo, era di una casa non troppo distante dalla mia.
Chiusi gli occhi e respirai a fondo. Per un secondo non sentii il freddo di quella notte, ma solo una strana pace.
Riaperti gli occhi presi la bicicletta e proseguii con calma verso casa. Non ero più arrabbiato né impaurito, volevo solo che quel momento di solitudine restasse con me per assaporarne la pace ancora e ancora.
 
Inspiro il profumo, un altro ricordo mi riaffiora alla memoria.
 
Erano gli anni dell’università, studiavo con una mia compagna di corso, Elisa, una ragazza i cui occhi azzurri erano il mio tormento da diverso tempo. Ero riuscito per miracolo a rompere il ghiaccio con la scusa di scambiarci gli appunti per l’esame che dovevamo preparare. Ero a casa sua. L’esame di diritto privato era l’indomani, ripassare era utile, ma la nostra mente era così satura di quelle porcherie che non c’era spazio per imparare più niente.
Dopo qualche ora di studio, mi propose una pausa.
Ricordo le sue mani piccoline che mi porgevano la tazza calda: tè al gelsomino.
Chiusi per un momento gli occhi e inspirai. Quando li riaprii lei mi guardava curiosa. Mi sorrideva, non per deridermi, ma come se una barriera fosse crollata per farci finalmente incontrare. In quel momento mi sentii in pace e sintonia con lei come mai prima.
Il giorno dopo superammo l’esame e le chiesi di uscire per festeggiare, e così tutto ebbe inizio.
 
Alzo lo sguardo, Selene ha smesso di piangere e giace sul sedile come una marionetta a cui hanno tagliato i fili.
Colgo un piccolo fiore e rientro in macchina. Il freddo penetra all’interno, il nostro respiro si condensa in una nuvoletta di vapore.
Il profumo di gelsomino si diffonde.
Gli occhi di Selene sono azzurri come quelli di Elisa: tutte le cose buone le ha prese da lei.
Le racconto la storia dell’esame di diritto privato e del primo appuntamento con sua madre. Mi ascolta, nasconde una grossa lacrima con la mano e io faccio finta di non accorgermene.
Le faccio dono del fiore e le dico che sono sicuro che le darà coraggio come ha fatto con me in diversi momenti della vita.
Lei lo stringe, ne assapora l’aroma.
Le prometto che domani torneremo a trovare sua madre in quella stanza d’ospedale dal sapore di plastica e disinfettanti, le propongo di portarle un po’ di questi fiori, così magari qualche bel ricordo tornerà anche a lei.
Selene si asciuga lacrime che ormai non si dà più pena di nascondere.
Cerca un mio abbraccio. L’accolgo e la stringo.
Eccoci qui: due testardi che, quando serve, si vogliono almeno un po’ di bene.
A quell’età anch’io ero un bambino sperduto in una strada buia, ma lei non è sola, ci sono io: il suo lampione e la sua luce.
Giro la chiave, il rumore del vecchio motore a gasolio è peggio di un elicottero, ma adesso mi appare dolce come il miele.
Torniamo a casa.
 
(Copertina creata con CHATGPT)