Quel pomeriggio d’agosto

L’estate è una stagione bellissima.
 
Ricordo con particolare nostalgia quel pomeriggio d’agosto. Faceva un caldo cattivo, umido. Il sudore scorreva a fiumi e i cassonetti rilasciavano odori divini. Le finestre spalancate facevano intravedere banchetti in altri tempi preclusi.
 
Fu proprio da una finestra che entrai in quell’appartamento al secondo piano. Una casa normale, come ne avevo visitate tante. I bambini facevano colazione. Macchie di miele e latte versato tinteggiavano il tavolo, invitanti. Il bimbo più piccolo aveva il moccio al naso: mi ci diressi senza pensarci due volte. Una donna ci arrivò prima di me, fazzoletto alla mano, e l’occasione sfumò. Capita. La donna urlò qualcosa: gocce di saliva si librarono leggiadre nell’aria. Le inseguii fin sul piano della cucina per un assaggio. Un uomo le rispose strillando e ne seguii la voce fino al bagno. Ne usciva con un asciugamani annodato intorno a un pancione molle e peloso. Mentre i due si sgolavano, io mi posai sulla tavoletta del water: non l’aveva alzata e perle dorate ne ornavano la superficie. Che goduria.
 
Proprio nel momento in cui passeggiavo sulla bocca di una bottiglia in camera da letto, la porta dell’appartamento si chiuse di schianto. Una ricognizione rapida mi confermò che l’uomo e i bambini erano usciti. La donna scriveva sul telefono: ne approfittai per lambire il sudore che ne impregnava la maglietta e l’appiccicava a quel corpo odoroso. Provò a scacciarmi un paio di volte, ma senza impegno né successo. Saltò su, si spogliò e si buttò sotto la doccia. Francamente, non amo troppo l’acqua corrente né il vapore, così decisi di fare un altro giro in cucina.
 
Stavo succhiando una macchia di sugo tra i fornelli quando suonò il campanello. La donna, in accappatoio, si precipitò ad aprire e si lanciò nelle braccia del nuovo arrivato. Più giovane dell’altro, senza pancia, un odore di deodorante che mi arrivava a zaffate da sotto le ascelle sudate ma anche dal cavallo dei pantaloni. Gli ormoni in subbuglio hanno un odore forte e deciso, quasi vintage, che mi è sempre piaciuto. Li seguii senza indugio in camera da letto. L’uomo passava la lingua sulla pelle della donna, io passavo la proboscide su di lui. Lei lo accarezzava trai gemiti, io godevo dei liquidi corporei che venivano sprigionati. Loro gridavano, io ronzavo. Fu una vera orgia di piacere.
 
Anche se, devo ammettere, la mia partecipazione passò alquanto inosservata. Non ci rimasi male. Davvero.
In effetti, i due erano così occupati che non si accorsero dell’uomo panciuto che rientrava. Lo vidi rimanere sulla porta della stanza qualche secondo, la bocca aperta e la fronte gocciolante di sudore. Poi cominciò a sbraitare e a mettersi le mani nei capelli e presto tutt’e tre cominciarono a tirarsi e spingersi e urlare.
 
Io, invece, non mi scomposi. Il letto era ancora pieno di sostanze inebrianti, adesso di più facile accesso. Oh, se solo avessi saputo cosa stava per arrivare. Che cosa avrei fatto? Avrei evitato di riempirmi lo stomaco!
 
Non vidi il panciuto colpire l’altro con la bottiglia. Però ne vidi il risultato e quasi non potevo credere alla mia fortuna. Il sangue caldo usciva dalla testa rotta, il corpo nudo era riverso per terra e l’intestino aveva rilasciato il suo contenuto nel momento della morte. Credo di essermi un attimo sentita male per l’emozione. Spiccai il volo, sospirai soddisfatta e mi abbandonai al sangue.
 
Mi svegliai ore dopo da un coma alimentare, sporca di sangue e non so più cos’altro. Varie persone affollavano l’appartamento e io sarei dovuta essere morta. Vidi uno degli uomini in divisa alzare uno stivale per schiacciarmi, ma un altro lo prese per il braccio e scosse la testa. Per evitare problemi, con un ronzio stanco presi il volo e lasciai zigzagando la pozza di sangue. La finestra era ancora aperta.
 
Fuori, le cicale cantavano e il calore si alzava in onde tremolanti dall’asfalto incandescente.
 
L’estate è una stagione bellissima.