Un racconto di Piero Schiavo Campo, guest star della CENTOSEIESIMA Edizione di Minuti Contati, l’Undicesima della Quinta Era.
Matteo bussò alla porta di legno, un solo colpo leggero per non disturbare, e rimase in attesa finché non sentì dall’altra parte la voce del professor Gilberti, con il suo solito tono sommesso e pacato.
«Avanti.»
Fece leva sulla maniglia, spinse l’uscio e si fermò davanti alla grande scrivania, con il capo chino. Avrebbe dato qualsiasi cosa per nascondere i suoi sentimenti, ma la tristezza promanava da tutto il suo essere, e non riusciva a nasconderla. Il professore lo fissò sorridendo. Un sorriso mesto, bonario.
«Ho saputo che è mancato tuo nonno.»
Matteo si limitò a un cenno del capo.
«Mi dispiace. Mi dispiace davvero molto. Siediti, ragazzo. Parliamo.»
Matteo si sedette sulla seggiola di fronte alla scrivania, e rimase in silenzio.
«Vorrei cercare di consolarti, ma so che non è facile. Crescendo capirai quanto la razionalità può aiutarti per superare questi momenti. Vorrei che tu ti rendessi conto che quello che diciamo a lezione non è soltanto fredda, astratta teoria, ma qualcosa che va compreso e applicato nella vita. Qualcosa che può servire per superare i momenti difficili. Vedi, per migliaia di anni gli uomini sono stati schiavi della loro irrazionalità. Odio, desiderio di vendetta, avidità e cupidigia guidavano le loro azioni. Si uccidevano a vicenda, rubavano ciò che non apparteneva loro. Si occupavano solo di quello che li riguardava individualmente. Il bene comune non era il bene di nessuno, dunque poteva essere depredato, perfino distrutto in nome dell’interesse personale. Poi, per fortuna, l’umanità è maturata. Abbiamo capito che l’unica etica che abbia un valore è quella che possiamo dedurre dalla nostra ragione. Le nostre certezze morali non possono derivare dall’imposizione di religioni dogmatiche, ma solo dal nostro pensiero. Rifletti sui comandamenti. Quinto: non sprecare. Perché?»
Matteo continuava a tacere, fissando il pavimento. Gilberti gli diede un minuto di tempo, in attesa di una risposta che non veniva.
«Perché su questo pianeta siamo troppi, e lo spreco non è consentito. Perché abbiamo dei doveri, nei confronti di noi stessi e del mondo in cui viviamo.»
Matteo non faceva che fissare la punta delle sue scarpe.
«Capisco il tuo stato d’animo, ragazzo, ma devi renderti conto che non è razionale. Nessuno è immortale, la morte fa parte della nostra esistenza. Tuo nonno è nato, ha vissuto la sua vita ed è morto. Tu stesso sei nato, stai vivendo e un giorno morirai. Perché crucciarsi per questo? Sarebbe come dolersi per il fatto di esistere.»
Matteo aveva sempre avuto buoni voti, ma in quel momento non era per nulla sicuro di avere compreso fino in fondo gli insegnamenti del Credo Razionale. Quando uscì dalla stanza del professore, si sentiva più depresso di prima. Afferrò le sue cose e si diresse verso casa. Camminava lentamente. Gli veniva in mente suo nonno che lo faceva ballare sulle ginocchia, che gli spiegava come costruire un origami, che lo aiutava a ripassare le lezioni di storia o quelle di etica razionalista. Devi capirlo bene, Matteo: ciò che è morale è razionale.
Passò accanto all’orto della signora Rosa, che gli rivolse un cenno di saluto mentre raccoglieva le verze per portarle al mercato. Anche il signor Fabrizio sospese per un attimo il suo lavoro: riciclava il sego delle candele. Dalla soglia della sua abitazione gli lanciò una lunga occhiata di solidarietà. Per l’aria si spandeva il profumo della legna che bruciava nei camini delle cucine. Matteo si strinse nel cappotto che era stato di suo fratello Franco, e prima di lui di suo cugino Alessandro.
Quando entrò in casa, tutta la famiglia era già raccolta nella grande sala da pranzo. C’era anche lo zio Alberto. Non lo vedeva da mesi. Anche la zia Susanna, con i nipotini. Gli adulti avevano sul volto espressioni serie, composte, ma i piccoli facevano fatica a non mostrare le loro puerili emozioni. C’era silenzio, e chi parlava lo faceva sottovoce. Matteo salutò tutti quanti, poi si sedette al suo posto a tavola. Era arrivato appena in tempo. Sua madre e suo padre stavano facendo la loro apparizione per l’inizio del rito funebre. Anche loro avevano quell’espressione di calma composta che era sul volto di tutti gli adulti. Insieme, trasportavano il lungo carrello a ruote ai cui angoli tremolavano le fiammelle di quattro candele. Sul carrello c’era un grande involto, da cui si sprigionava un delizioso profumo di carne arrostita.