Routine cromatica

Un uomo può adattarsi a qualunque routine facendola divenire la sua nuova normalità invalidando in tal modo anche terapie che dovrebbero creare reazioni. Un racconto di Manuel Piredda.

 
La casa prigione aveva orari estremamente regolari.
Luci accese alle sette del mattino, spente alle ventidue; televisore acceso alle diciotto e spento insieme alle luci.
L’orologio, signore assoluto della routine che dominava ogni giornata, ticchettava costante sulla parete tappezzata dalle fotografie di un giovane di bell’aspetto.
Pietro, ormai indebolito, smunto e col viso coperto da una lunga barba che cominciava a incanutirsi si riconosceva a malapena nella faccia del giovane delle foto.
Non sapeva nemmeno quanto tempo fosse passato da quando era stato chiuso lì senza spiegazioni da parte di nessuno.
Aveva provato a urlare e disperarsi, colpito la porta e le pareti con le mani e con la testa, aveva lanciato sedie contro i vetri infrangibili delle finestre e provato a cogliere di sorpresa l’ombra che lasciava i pasti sul tavolo, senza mai riuscire a vederne più di un’apparizione fugace.
Presto il conto dei giorni si fece confuso, le forze per combattere sempre meno presenti, l’ombra del cibo sempre più veloce e sfuggevole.
L’unica cosa che gli restava era il conforto regalatogli dalla placida routine: pasti, luci, sonno, pasti.
Nel mezzo di uno sbadiglio, in attesa del sonno di routine, Pietro vide l’orologio segnare le ventidue e un minuto; per la prima volta da quando era iniziata la sua prigionia la luce continuava a illuminare le lancette.
Lo shock fu tale che rimase a fissare alternativamente orologio e lampadina sino alle ventitré, quando la certezza che non sarebbe mai più riuscito a dormire gli attanagliò le viscere sino a lasciarlo rantolante al suolo alla ricerca di un sorso d’aria.
Per tutta la notte e per tutto il giorno successivo la luce non si spense mai, la lampadina resistette qualsiasi tentativo di distruzione da parte dell’uomo e continuò a brillare placida e ronzante, il sacro taboo della luce dopo le ventidue venne infranto nuovamente.
Un nuovo miracolo sconvolse la vita di Pietro, la luce diventò blu, il suono del mare gli invase le orecchie, si sentiva il capitano di una nave in tempesta mentre il riflesso delle onde riempiva l’abitazione un tempo familiare e controllata.
L’immaginario viaggio tra i flutti non durò che sessanta minuti, la luce blu diventò rossa e pulsante allo scattare della nuova ora.
Le lancette dell’orologio erano dritte sulla mezzanotte quando caddero improvvisamente dall’orologio frantumandosi al suolo come fragili stecche di vetro.
La luce rossa trasfigurava ogni cosa, le foto nella stanza ora ridevano di lui mentre pianti isterici riempivano l’aria, il televisore mandava solo immagini di stupri e morti violente mentre Pietro si lanciava contro la porta, le mani e la faccia insanguinate dagli impatti, la gola ferita dalle urla inumane, implorava di lasciarlo uscire.
La luce rossa lasciò il posto alla familiare luce bianca, dal corridoio le voci si fecero più forti.
«La cromoterapia non ha dato risultati, non ha intenzione di svegliarsi, staccate le macchine e lasciatelo andare.»

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