
La pioggia martellava la lamiera del tetto, un suono costante, quasi ipnotico. Nell’aria stagnava l’odore ferroso della terra smossa. Anuska fissava il terreno davanti a lei, le mani sporche di fango, mentre la pala giaceva abbandonata accanto al cumulo di radici aggrovigliate.
«Non è normale» disse, spezzando il silenzio.
Dietro di lei, Luka si avvicinò, stringendosi nella giacca fradicia. «Niente qui è normale. L’hai visto anche tu».
Anuska si alzò, scrollandosi il fango dai jeans. I suoi occhi verdi, taglienti come lame, lo fissarono. «E quindi? Rinunciamo come hanno fatto gli altri?»
Luka non rispose. Alzò lo sguardo verso il tronco immenso al centro del campo. L’albero sembrava respirare, il legno pulsava come carne viva. Radici spesse quanto serpenti si estendevano in ogni direzione, penetrando il suolo e risalendo in curve innaturali.
«Non è un albero qualunque» mormorò Luka.
Anuska rise, un suono amaro.
«Grazie per l’ovvietà» poi prese la pala e la puntò contro di lui «se sei qui solo per guardare, vattene. Io non ho paura di scendere più a fondo».
Luka esitò.
«E se troviamo…»
«Non importa! Non può essere svanita nel nulla: non me ne vado finché non esce una qualsiasi traccia di mia sorella»
Non aspettò una risposta. Con un movimento deciso, scavò un altro colpo nella terra. La pioggia trasformava il fango in una pasta viscida, ma Anuska non si fermava. Ogni colpo rivelava radici più sottili, quasi nervi, che pulsavano sotto la luce spettrale delle torce.
«Anuska!» Luka le afferrò il braccio «Ascolta»
Un suono salì dal terreno. Non un rumore, ma una voce. Stridula, gutturale, parlava una lingua sconosciuta. Anuska si bloccò, le dita ancora strette intorno alla pala.
«L’hai sentita anche tu?» chiese, ma Luka già arretrava, gli occhi sbarrati.
«Non è umano» balbettò «Dobbiamo andar via»
Anuska si inginocchiò, avvicinando l’orecchio al suolo. Il suono sembrava un coro di sussurri. Sgomenta, perse l’equilibrio e cadde di sotto cercando disperatamente di afferrare le radici per attutire la caduta.
«Non toccarle!» gridò Luka.
Troppo tardi. Non appena Anuska si aggrappò al legno vivo, ne fu travolta. Il mondo di sopra svanì, inghiottito da un buio viscoso e si ritrovò di sotto.
Riuscì ad accendere la torcia che portava alla cintura ed illuminò una foresta intricata i cui alberi erano fatti di ossa intrecciate e il cielo pulsava come un organo vivente. Le radici si spingevano fin lì, affondando in un suolo che sapeva di sangue.
«Chi c’è?» gridò, eppure la sua voce sembrò della stessa consistenza dei sussurri.
«Anuska» le sembrò di sentire.
Si voltò, il cuore che le martellava nel petto. Nel fitto degli alberi, una figura si avvicinava. Era sua sorella, o almeno, qualcosa che la ricordava. La pelle era tesa, le mani deformate in artigli. E i suoi occhi… vuoti, come pozzi senza fondo.
«Cosa ti hanno fatto?» sussurrò Anuska.
La figura avanzò, senza rispondere ma Anuska si rifiutò di arretrare.
«Sei tu, Kara?»
Il terreno intorno a loro cominciò a tremare. Le radici si alzarono come serpenti, circondando Anuska.
«Unisciti al Grande Albero» disse la figura «Staremo insieme per sempre»
Era veramente sua sorella, l’unica famiglia che le era rimasta.
«Ti prego, vieni via di qua, dammi la mano, Kara, ti riporterò su!»
Le radici si strinsero, scavando nella carne. Anuska gridò e in quel momento le sembrò di scorgere una luce, una flebile luce negli occhi di Kara.
Con uno sforzo disperato, riuscì a puntare la fiamma della torcia sulle radici che si ritrassero come animali feriti.
Kara urlò, un suono disumano, e il mondo cominciò a sgretolarsi. Anuska si sentì sollevare e si ritrovò nel campo, le mani ancora strette sulla torcia accesa.
Luka, pallido e ansimante era disteso a fianco a lei.
«Sei… sei tornata» balbettò.
Anuska annuì, respirando a fatica.
«Non è finita. Kara è ancora là»
Luka la guardò, terrorizzato.
«E cosa facciamo adesso?»
Anuska si alzò, lo sguardo fisso sulle radici aggrovigliate.
«Scendiamo di nuovo, sotto il fondo del mondo!»