Un buon consiglio

Michele mise la chiave nella toppa e aprì il portone tirandogli un calcio nella parte bassa, che a momenti sembrava venisse giù il palazzo.
Accese la torcia in cerca dell’interruttore. Si piazzò il fanale tra i denti e spostò una trave di legno posata d’avanti al quadro elettrico. Una nuvola di polvere lo avvolse come uno sciame. Tossicchiò. Aprì il quadro e alzò l’interruttore.
Le lampade a incandescenza illuminarono l’atrio di una luce calda.
Almeno c’è corrente.
Spense la torcia e scostò il drappo porpora che coprivano la porta con su scritto “Ingresso”.
Spinse le ante. La grande sale era rimasta come la ricordava. Oltre la penombra, lo schermo bianco gli si parò d’avanti, enorme, e si sentì Pinocchio nella pancia della balena.
Si sedette all’ultima fila. La moquette grigio topo delle poltrone puzzava di fumo di sigaretta.
Se Simona fosse qui con me.
Sollevò la testa verso il soffitto e allungò le gambe sullo schienale della poltrona davanti.
Se il vecchio Tonino mi vedesse così… Sorrise.
«T’ho visto, sai?»
Michele si voltò. Una luce lo colpì in pieno volto.
«Ohi! Così mi accechi»
Il faro si spense. Un uomo di livrea nera, con due lustrini consunti sulle spalle e due baffi impomatati, stretti e lunghi, lo fissava tenendo le braccia incrociate.
«Tonino? Madonna! È una vita che non ti vedo»
«Dici bene»
«Ma com’è sta storia che gironzoli ancora per il cinema?»
«Tu, piuttosto. Ti sarai mica messo a fare lo sbirro?»
«Ma figurati. M’hanno mandato a fare il sopralluogo. Sai che piazzano le cariche e buttano tutto in terra»
«’Sta volta fanno sul serio»
«E sì»
«Ma com’è che c’hai sta faccia?», ammiccò Tonino, stringendo gli occhi.
«Simona m’ha mollato»
«Ma dai»
«Dice che non gli do certezze, che faccio i castelli in aria»
«A i miei tempi si diceva “bischero”»
«E allora sono un bischero»
«Ma Simona non lo sa che la vita l’è così»
«Così come?»
«Un po’ bischera»
«Vaglielo a spiegare»
«Certo, perché tu non sei mica buono»
«E che gli dico?»
Tonino scosse la testa. «Aspettami qui», e si allontanò.
Michele chiuse gli occhi e sospirò. Un alito di aria fresca gli smosse i capelli. Riaprì gli occhi. Sulla testa, un cielo punteggiato di stelle.
«Diglielo a Simona che di certo c’è solo il firmamento», la voce di Tonino riecheggiò alle spalle.
«Madonnina! Il tetto mobile, e chi se lo ricordava più?». Michele inspirò il profumo dei gigli.
«Peccato che viene giù tutto»
«E che importa? Quelle lì non le butta giù nessuno»
A Michele gli si inumidirono gli occhi.
«Che fai? piangi, bischero?»
«Anche io ti voglio bene, Tonino».
Tonino sorrise.
«Ora vai a casa a riposare»
«Ma devo finire di controllare»
«è il mio cinema. L’ ultimo giro spetta a me»
Michele annuì, si alzò e gli strinse la mano. «Stammi bene, Tonino»
L’uomo gli sorrise, e senza aggiungere altro, sparì nella penombra.
Michele guardò l’orologio. Si sentiva le gambe pesanti. Attraversò la strada deserta e si incamminò verso casa. Sotto la chioma di un faggio, alla luce di un faretto, lo sguardo cascò su un manifesto mortuario:
“Si è spento tra l’amore dei suoi cari Tonino Gualtieri, guardiano del cinema”
Michele fissò a lungo il manifesto. Ora che si sentiva meglio, come lo avrebbe spiegato a Simona che anche i fantasmi sanno dare buoni consigli?