La ferrovia

Charles sedeva sulla panchina, la pipa spenta in mano. Dal mare veniva un soffio frizzante, il tramonto tingeva i binari di arancio.
Ecco dove siamo arrivati.
L’erba frusciò alle sue spalle, si voltò. Era Seamus.
«Seamus! Che ci fai qui?»
L’amico lo guardava, la mano in tasca e un sorriso sulle labbra.
«Charlie. Immaginavo di trovarti qui. Posso sedermi?»
Charles fece spazio. Quello si sedette, qualche giuntura scricchiolò. Fece un cenno verso i binari.
«Studi il Progresso, Charlie?»
A volte proprio non capisce.
«Questo treno ci sta portando via tutto. Tutto.»
Seamus sogghignò, si voltò e indicò il villaggio sulla scogliera.
«Beh, ci resta sempre una casa, no?»
Stupido e cieco.
«A che serve? Rimarremo senza soldi, dovremo andarcene.»
Seamus inspirò. Quel sorriso idiota non se ne andava.
«Ti ricordi, Charlie? Io e te, il carretto agganciato alla bicicletta, su e giù per questa costa. Ci mettevamo quanto, due giorni per andare a Sud?»
Charles chiuse gli occhi, sospirò.
«Tre giorni.»
«Tre giorni, giusto! Si comprava la merce, si riempiva il carretto e si tornava. Piano piano, attenti alle buche, facendo tappa in ogni villaggio.»
«Finiscila. Cos’è, vuoi farmi piangere?»
Seamus gli batté una mano sulla spalla.
«Dai, Charlie! Quelli erano i nostri giorni migliori. Si vendeva bene, erano dei buoni affari. E lo sono stati fino all’anno scorso.»
Charles si passò la mano sul viso. Seamus si alzò: la sagoma nera tagliò a metà il binario e il tramonto.
«Su con la vita. Ti ricordi la ragazza che avevi conosciuto in quel villaggio? Quella da cui tornavi sempre. Come si chiamava?»
Charles strinse le mascelle. Strinse ancora. Al diavolo. Le lasciò andare e sorrise.
«Annabelle. Si chiamava Annabelle.»
Un gabbiano gridò. Seamus aprì le braccia.
«Ah, che ragazza! Quella sì era da sposare. Chissà che fine ha fatto. Tutto sommato è stato meglio così: ti saresti accasato e io avrei perso un socio.»
Charles si levò, i pugni chiusi.
«Ora piantala, PIANTALA! Cos’è che non capisci, Seamus? Tu parli di un’era passata. Gli affari andavano a gonfie vele, certo: poi hanno posato i dannati binari. È arrivata la ferrovia.»
Pestò un piede, lanciò la pipa che non aveva acceso. Aveva le lacrime agli occhi.
«Sono sei mesi che non si vende, Seamus. È finita. Le merci arrivano su vagoni, vagoni più grandi di qualsiasi carretto.»
Crollò sulla panchina, si prese la testa fra le mani. Seamus non rispose.
Charles si appoggiò allo schienale. «Ma tu non vuoi sentire. Io dico che ci portano via tutto, tu mi rispondi che abbiamo una casa. Ti mostro i binari, tu mi fai notare questa panchina. Beh, un giorno ci toglieranno anche la panchina. Diranno che è troppo… ferma.»
Seamus annuì, camminò fino ai binari e li scavalcò. Frugò nell’erba, si rialzò e tornò con la pipa. Gliela porse.
«Sai che ti dico, Charles? Una volta il nostro villaggio era isolato dal mondo, viveva di pesca. Poi sono giunti quelli come noi, con le biciclette e i carretti, a portar la novità. Sai dove voglio arrivare, vero?»
Si spazzolò i calzoni.
«Domattina salirò su uno di questi treni e tu verrai con me. Andremo a Sud, a cercare la tua Annabelle.»
Charles fissò l’amico. Nell’ultima luce, le linee del viso si erano fatte rosse.
«Annabelle? Non ho idea di dove sia.»
Quello fece un sorriso.
«Charlie, Annabelle è solo un nome. È soltanto un treno che non hai preso.»