Depakin story

La diversità come una malattia da curare, il socialmente accettabile come il vero virus da debellare. Semifinalista nella Centesima Edizione di Minuti Contati, un racconto di Monica Patrizi.

 
Ho letto da qualche parte che le anime affini si riconoscono tra milioni di persone. Si riconoscono dagli occhi, che singhiozzano come le fontane di Roma nei giorni d’estate e dalle risate sgangherate, che scoppiano senza motivo.
Con un gesto riescono a farti sentire a casa, quella casa che non hai mai trovato.
Un pezzetto di te è dentro di loro; un pezzetto di loro, anche se non lo sai, è dentro di te.
Depakin da 300 mg, 3 cpr tre volte al dì.
Io e Silvia, ci siamo riconosciute subito.
Giravamo intorno al tavolo imbandito per l’inaugurazione di un nuovo locale. Quando mi sono avvicinata per prendere un tramezzino, mi ha guardato sorridendo, con la bocca sporca di cioccolato.
Xanax da 0,50 mg, 1 cpr dopo colazione.
«Vuoi qualcosa? Non fare complimenti, qui è tutto gratis», mi disse.
«Grazie ma cercavo qualcosa di salato» risposi.
En, 13 gocce, dopo cena.
«Un caffè?». Prese il termos e se ne versò una tazza. «Nella Casa Famiglia dove vivo mi hanno messo a dieta. Tu faresti merenda con due gallette di riso? Per fortuna oggi sto con mia zia, che è anziana e non mi controlla».
E ridendo di gusto ingoiò un supplì.
In effetti, una dieta non le avrebbe nuociuto. Silvia nascondeva a stento le sue forme prosperose dentro un abito colorato; dalla gonna uscivano un paio di polpacci grandi come cocomeri.
Si avvicinò una vecchina, minuta, sua zia presumo, che le ricordò della dieta.
Valium, da 15 a 20 gocce, da somministrare all’occorrenza.
Stavo per allontanarmi, quando la sentii dire: «A proposito, stanotte ti ho sognato. Eri proprio tu. Siediti che ti racconto…»
Tolep da 10 mg, 1 cpr dopo pranzo.
Io e Silvia ci incontrammo altre volte: alla sagra degli arrosticini, all’inaugurazione del negozio di parrucchiere “Teste Matte”, al concerto di “Ivano e gli amici del liscio”. Ogni volta, con la scusa di avermi sognato, mi raccontava qualcosa di sé, degli uomini che l’avevano corteggiata e delle feste a cui era andata. Ci sedevamo, preferibilmente, accanto al tavolo delle vivande. Tra un pianto e una risata, mi raccontava di suo padre, che faceva il muratore e da piccola la portava in giro su una carriola. Quando morì, il Servizio Sociale la inserì in Casa Famiglia della città.
Poi per mesi non la vidi più.
La cercai in Casa Famiglia. La direttrice mi informò che, preoccupati dagli sbalzi di umore e dall’aumento di peso, l’avevano portata in un Centro di Salute Mentale, dove le avevano prescritto una terapia per farla guarire.
«Guarire da cosa?», chiesi.
Stabilizzare l’umore, ridurre comportamenti bulimici, lessi sulla ricetta, insieme ad una serie di psicofarmaci.
Seroquel, 1 cpr da 400 mg, mattina e sera.
Vidi Silvia sopita su un divano. Con addosso un cappotto, era seduta accanto al termosifone.
Ancora oggi, quando vado a un buffet, spero sempre di incontrarla. Resta però in me quel suo pezzetto allegro e affamato, innamorato del caffè e delle cose belle della vita, a cui nessuna pillola potrà mai arrivare.