Non dovevi farlo

L’egoismo, il possesso, il male sopra ogni cosa, compresa l’innocenza. Finalista nella CENTESIMA Edizione di Minuti Contati, un racconto di Giancarmine Trotta.

 
Tornerò.
Passerò vestito a festa sulla tua tomba. E nell’ombra dei cipressi, quando verrà sera, piscerò sul marmo rosa fissandoti negli occhi. Quegli stessi occhi lucenti che mi hanno guardato mentre colpivo, implorandomi di smettere.
Non dovevi farlo.
Ti ho punita. Ma ora lo sai.
 
Eppure ti ho amata. Nessuna al mondo mi piaceva più di te, dei tuoi capelli che solo al vento permettevo di accarezzare, dei tuoi seni duri che stringevo con l’ossessione di coprire dagli sguardi del mondo. Anche al buio, anche da soli.
Ti ho amata e mi amavi.
Prendevi il mio sesso e lo facevi tuo. Diventava tuo. Sussurravi l’amore e godevo delle tue voglie, sbattendoti con forza fino a farti piangere, lacerando la tua pelle e le tue emozioni. Il tuo viso sofferente mi rendeva sicuro, potente. Su di te, avvolto come una serpe, mi sentivo un Dio e baciavo ciò che era mio: le tue labbra carnose, il collo, le spalle, tutto.
Non dovevi farlo.
Ti ho punita.
 
Ora sono solo. Tre metri per tre, col pavimento umido e rigato dall’ombra perpetua del ferro delle sbarre.
Tutti mi odiano. Anche l’avvocato mi schifa e io, se potessi, gli vomiterei addosso tutta la rabbia che ho fino a bagnarmi del suo sporco sangue. Non lo faccio perché aspetto quel giorno in cui potrò uscire e rivedere i nostri luoghi, passeggiare, emozionarmi e quindi sputare su ciò che in terra mi parla di te.
 
Tua madre mi guardava al processo. Mi faceva pena.
Lei che ti credeva pura, pronta per il matrimonio, la famiglia. Lei che ti aveva detto di lasciarmi e poi aveva ceduto. Lei che mi copriva di attenzioni ed era pronta a litigare con tutti per difendermi. Donna sciocca, buona per aprire le cosce e fare figli.
Le tue sorelle mi insultavano, loro che fino a quel giorno mi consideravano il fratello maggiore che non avevano avuto. Non consideravo le loro voci, perché per me non valgono niente e non meritano nemmeno di essere odiate.
 
Sono solo e penso agli ultimi istanti. Ti amo e ti odio.
«Tony non è colpa mia! Non volevo, non volevo!»
Sei in ginocchio, tumefatta. Ti prendo per i capelli e ti trascino in camera da letto.
Tu mi lasci fare.
Ormai nuda cerchi di accarezzarmi per farti perdonare e ti spingo via come l’ultimo dei cani randagi. Mi attendi e tremi, io carico il braccio e ti punisco nel ventre.
I tuoi occhi mi parlano: perdonami, aiutami.
Ripeto il gesto, con più forza. Urli, strozzata dal dolore e forse dalla consapevolezza che per lui è finita. Le tue mani provano a difendere ciò che credevi essere la tua futura vita e si tingono di rosso, poi si tagliano di fendenti veloci e decisi. Senza più forze resti immobile, fredda.
Non dovevi farlo.
 
Sono passati anni da quando ti ho uccisa insieme alla tua creatura. Alla nostra dicevi, per impietosirmi. Ma io volevo solo te e non ti avrei mai divisa con nessuno. Mai.
Non ti ho ancora perdonata.
Non dovevi farlo.
Ti ho punita.
Ma ora lo sai.