FATMAH

Amori impossibili in un mondo in crisi con se stesso. Un racconto di Marco Roncaccia.

 
Quando entri in scena il mio cuore è un kamikaze e si fa esplodere nella cassa toracica.
Il repertorio si ripete ma ogni esibizione è unica.
Centellino gli istanti per sorbirne tutto il piacere.
Le porte scorrevoli si chiudono, accendi l’amplificatore e regoli il microfono, la base parte, tu chiudi gli occhi, avvolta in uno scialle nero con i fili d’argento che brillano alla luce.
L’aria, la stessa che i miei polmoni trasformano in anidride carbonica, quando attraversa il tuo corpo, diventa melodia facendo vibrare ogni cellula del mio.
 
Io ti amo e tu non lo sai.

ah che bella voce ca ll’anima se squaglia quanno cante

 
Quando canti “Fatmah” ti trasfiguri e io ti seguo in Paradiso.
Strano che una canzone degli Almamegretta sia finita nel tuo repertorio tra “Besame Mucho” e “Roma nun fa la stupida stasera”.
 
E’ una canzone magica, è la nostra canzone.
Parla dell’amore non corrisposto di un poeta per una cantante. Parla di noi.
Certo, io non sono un poeta, per il mondo sono un NEET.
Un giovane di 28 anni che non studia e che non cerca lavoro, un essere patetico generato dalla crisi.
In realtà la mia occupazione a tempo pieno sei tu.
 
Non so nemmeno come ti chiami e tu di me sai a malapena che esisto.
Sono quello che a volte mette una moneta da 2 euro nel bicchiere della Coca Cola con cui fai colletta.
Solo una volta al giorno mi concedo di salire nello stesso vagone con te.
Per il resto mi tengo a distanza ma, anche quando sono all’altro capo del treno, so che ci sei e mi sembra quasi di sentirti
 
ah che bella voce nun saccio si so’ diavolo o so’ santo

 
Adoro la miscela tutta tua di dialetto napoletano e Romanes.
Alcuni non l’apprezzano.
Ci sono pregiudizi sugli zingari e spesso la gente ti tratta in modo scortese.
Ma io sono ottimista.
Penso che la tua voce, i sentimenti che trasmette siano in grado di toccare ogni cuore, e poi, dove non arriva la magia del tuo canto, arrivo io.
 
saccio sulo ca quanno te sento sento dint’ ‘a ll’anema ‘o turmento

 
Oggi sono triste.
E’ l’ultima volta.
E’ colpa mia, ieri mi sono fatto prendere dall’ira.
Tutto per quel ragazzo che l’altro ieri ti ha fatto piangere.
Ti ha urlato contro.
«Zingara di merda, piantala con ‘sta lagna!»
Ha preso a calci l’amplificatore e ti ha spinta fuori dal vagone. I suoi amici ridevano e applaudivano. Nessuno ti ha aiutata.
Io non ho potuto fare niente, ero nella carrozza successiva e ho assistito alla scena dall’oblò.
Ieri ho aspettato il bullo alla fermata dove lo avevo visto salire e l’ho spinto con rabbia sulle rotaie un attimo prima che arrivasse il treno.
Lo so, lì c’è una telecamera, le altre volte sono stato più accorto e finora mi è andata bene. Sono scappato e mi sono nascosto ma, stamattina, amore mio mi mancavi e ora sono qui.
Forse alla prossima fermata saliranno gli sbirri e mi porteranno via, per questo cerco di imprimere nella mia mente questo momento e le tue note
 
nun saccio manco cchiù addo stongo si ‘mparaviso o all’inferno

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